C’era una volta il concerto, quello che cominciava alle 21.30 o giù di lì e si concludeva che ormai era ragionevolmente tardi. Poi arrivarono gli Archive ai Magazzini Generali. Quando compri il biglietto per un live, l’ultima cosa che fai è interessarti all’orario di inizio. Poi, per scrupolo, giusto per farti un piano mentale della serata, gli dai una rapida occhiata, sicura che “tanto a che ora potrà mai cominciare, è sempre la stessa storia”. Certo. Infatti alle 19.35 sei già in postazione, il locale è pieno di gente di un’eterogeneità che non t’aspettavi e in dieci minuti netti l’evento ha inizio. Niente band di apertura, niente scenografia di sorta. Qui si va dritti al punto, mica storie. Quando il collettivo londinese conquista la scena, temi per un attimo che il palco possa cedere sotto il peso di tanto materiale umano e tanti strumenti. Proprio numerosi, un bel colpo d’occhio. Nemmeno il tempo di finire la conta, peraltro parziale (le due cantanti faranno il loro ingresso solo sul secondo pezzo, You Make Me Feel), che i sette in scena hanno già attaccato. E’ un attacco vero, un assalto. Violento no, mai. Una precisa stoccata di fioretto piuttosto. Intensi, decisi, netti. Abbattono le barriere cerebrali in un secondo, ti trascinano nel loro viaggio. O forse semplicemente ti accompagnano nel tuo. In fondo non fa differenza, perché calato il sipario ti ricorderai solo che sei stato in altri territori, non come ci sei arrivato. La Musica a volte riesce a portarti maledettamente lontano. Eccome se lo fa.
Dicevo, salgono sul palco e suonano. Lo fanno e non si fermano un attimo. Alternano strumenti, voci e sonorità quasi senza darsi il tempo di cogliere i meritati applausi che vengono loro offerti tra un brano e l’altro. Interagiscono pochissimo, ed è giusto così. Si rischierebbe altrimenti di interrompere il flusso empatico, di venire tutti scaraventati di nuovo nel qui ed ora. Ed il fatto è che nell’altrove veicolato dalla loro arte si sta da paura, sarebbe tremendo venirne estromessi proprio in corso d’opera. Il che a tratti non è facile, poiché puntualmente i tuoi vicini sono la peggior razza di bestie in circolazione, di quelli che proprio ce la mettono tutta per distrarti: non solo arrivano in ritardo, ma si piazzano davanti a te con i loro spavaldi 15 cm di altezza in eccesso e il bicchiere strabordante birra, bofonchiano, amoreggiano, battono sguaiatamente delle mani-badile capaci di produrre suoni ai limiti del consentito dalla legge. Di continuo, mai a tempo. Menomale che l’astrazione spazio-temporale neutralizza la mia congenita misantropia. A questo si aggiunge un’ulteriore insidia. I soliti, immancabili problemi d’acustica dei Magazzini, soprattutto sui bassi. La resa a tratti risulta fastidiosamente distorta, il suono abbruttito. Fortunatamente anche la mia bellicosità è temperata dal contesto, per cui mi limito ad inspirare a fondo e a soffocare il fastidio. Perché loro sono troppo bravi perché ci si lasci rovinare lo spettacolo, io troppo sensibile al potere della Musica. E’ una lunga cavalcata questa degli Archive. Più di due ore, doppio bis incluso, tra brani nuovi (quelli tratti da With Us Til You’re Dead – titolo notevole per un ottimo album) e vecchie glorie (come Again, Fuck You, Pills, Kings Of Speed, Bullets, solo per citarne alcune). Appagante, come solo i bei viaggi ed i gran concerti sanno essere.
SETLIST: Wiped Out – You Make Me Feel – Sane – Interlace – Stick Me In My Heart – Conflict – Violently – New Track 1 – Again -Fuck You – Pills – New Track 2 – Danger Visit – Damage – Rise – Silent – Hachet – Controlling Crowds – Kings Of Speed – Waste -Twisting – The Feeling Of Losing Everything
A cura di Giorgia Pezzali