Uno ogni tanto si scoraggia, ma è una cosa normale. Ogni generazione, in fondo, si chiede perché la sua generazione faccia schifo, anche se quella dei venti-trentenni di oggi sta evidentemente tentando di battere ogni record. Uno ogni tanto si scoraggia, si domanda: da chi posso sentirmi rappresentato? E, banalmente, crede di potersi auto-rappresentare, si illude che un intervento su un social network che accumula 15 gradimenti possa aver spostato l’ago della bilancia manco fosse Thomas Sankara alle Nazioni Unite.
Poi, grazie a Dio, arriva uno come Benjamin Clementine. E ti ricorda che è cosa buona e giusta che esista qualcuno che possa parlare al posto tuo, ma che a differenza tua possa raggiungere milioni e milioni di persone. La letteratura, la politica, l’arte lo hanno sempre fatto.
La storia del ventinovenne britannico è cosa nota e meravigliosa (e qualora non la conosceste, il caldo consiglio è di googlarla istantaneamente), ma in questa sede è bene limitarsi a lodarne sperticatamente le doti da live performer e, più in generale, da cantautore. Il concerto comincia alle 21:00 quasi puntuale, come indicato da biglietto (una sorta di miraggio a Roma e in Italia). Il songwriter di sangue ghanese, prima di dare il via allo spettacolo, invita gli spettatori ancora alla ricerca del proprio posto a sedersi, e attende dunque qualche minuto prima di far partire lo show.
Assieme a lui cinque coriste, basso elettrico, tastiere e batteria: s’inizia con la formidabile By The Ports Of Europe, ed è subito festa. Fra le nuove tracce del nuovo album, prossimo venturo (“I Tell A Fly”, in uscita a Settembre), spiccano Phantoms Of Aleppoville e God Save The Jungle, che conducono la serata nella giusta direzione. Con la meravigliosa Condolence, però, si apre ufficialmente la seconda parte dell’Opera: quella in cui il Nostro, a serrato dialogo col pubblico, coinvolge tutti i presenti in un singalong all’inizio complicato dalle scadenti conoscenze di lingua inglese dell’audience. Scherzi a parte, il teatrino prosegue con maggiore incanto grazie alla commovente London e a un encore che entra di diritto nella breve leggenda di questa estate romana.
Alla frenetica Adios si alterna la dolcissima I Won’t Complain, abbracciata immediatamente da una reprise di Condolence prima e dall’ulteriore, ripetuto tripudio di By The Ports Of Europe poi: pezzo politico e necessario, durante il quale Clementine invita a pensare ai migranti di Sicilia e alle anime nuove del continente. Menzione a parte merita la telegrafica, eccezionale cover di Caruso, composizione immortale del Lucio nazionale, intonata in un apprezzabilissimo italo-napoletano. Quasi due ore di grandissima musica, messa in piedi da un grandissimo talento in una cornice di grandissimo rilievo. Benjamin: te voglio bene assaje.