I Black Heart Procession hanno rappresentato, per gli attuali 30/40enni, il baluardo della tristezza più saldo della propria gioventù, i dischi da tirare fuori nei momenti di sconforto per crogiolarsi in lacrime che non fossero solo le proprie. Non è dunque un caso che l’età media del live al Circolo Magnolia, ultimo appuntamento del mini tour italiano di questo Marzo 2017, sia proprio quella e che i commenti che si possono sentire in sala prima dell’inizio siano tutti a forti tinte amarcord.
Pall Jenkins e i suoi con questo ritorno live c’hanno messo del loro, scegliendo di riproporre per intero “1”, il loro debutto del 1998 che a breve festeggerà il suo ventennale. Quel disco, pubblicato sul finire di un decennio rumoroso e arrabbiato come i ’90, aveva rappresentato un po’ la resa delle armi dell’indie rock americano, la centralità lirica e concettuale del cuore. Un cuore nerissimo e gonfio portato adesso in processione a mo’ di stendardo, nella sua interezza e senza interruzioni.
La setlist, così, è scritta: Jenkins parte seduto e con lui il disco, The Walter e The Old Kind Of Summer sono l’intro prima che il cuore inizi a pompare davvero con Release My Heart. Pall si alza, imbraccia la sua chitarra e sciorina i testi dei brani come fossero piccole invocazioni pagane. La sua voce è meno brillante di 10/15 anni fa, si raccoglie spesso su tonalità più basse che su disco ma l’effetto è sempre il medesimo, un lungo viaggio in quelle terre di confine del Sud degli Stati Uniti che da sempre fanno parte dell’immaginario dipinto dalla band.
La comunicazione fra sopra e sotto il palco praticamente non esiste, da giù ogni tanto s’alza la richiesta di qualche pezzo che, ovviamente e per natura stessa della performance, non viene presa in considerazione. Con A Heart The Size Of A Horse il set si chiude così come “1”, un saluto rapido e i Black Heart Procession abbandonano il palco dopo un’ora, frutto della riproposizione di un disco di neanche 50 minuti allungato quel tanto che basta a raggiungere la cifra tonda.
Al rientro è un Pall Jenkins più disteso a presentarsi, quasi avesse affrontato insieme al suo pubblico una sorta di percorso catartico. C’è spazio per A Cry For Love da “Amore del Tropico” (2002), con un consiglio ai presenti: “Don’t drink green beer…”, riferendosi alla bottiglia in vetro che ha in mano, salvo aggiungere ridacchiando “…but thanks to the club!”. Poi spiega il pezzo seguente: “Abbiamo dovuto scegliere cosa suonare dopo il nostro primo album e abbiamo scelto una canzone che ha davvero un grande significato per noi, un brano che non suoniamo molto spesso e che quindi è qualcosa di speciale per noi, ma anche per voi”. Così parte The War Is Over da “Three” (2000), un’affermazione forte e sempre tristemente attuale.
Jenkins spende qualche inevitabile battuta su Trump e sulla vergogna che prova per avere un Presidente del genere, introducendo così l’ultimo pezzo della serata, un nuovo brano “about borders… immigrants… refugees…”, con la mente che non può non andare alle politiche annunciate dal Tycoon, ai muri e ancora a quei confini ambientazione delle musiche dei Black Heart Procession. Una traccia interessante, questa, che dà il segnale (oltre che la speranza) di come la band sia al lavoro su qualcos’altro, magari per dare finalmente un seguito a “Six” (2009). Nell’attesa, ci accontentiamo della meravigliosa celebrazione del nero andata in scena durante questo tour, quel nero di cui non si smette mai di aver bisogno.
SETLIST: The Walter – The Old Kind Of Summer – Release My Heart – Even Thieves Couldn’t Lie – Blue Water-Black Heart – Heart Without A Home – The Winter My Heart Froze – Stitched To My Heart – Square Heart – In A Tin Flask – A Heart The Size Of A Horse —ENCORE— A Cry For Love – The War Is Over – (Nuovo brano)