Spesso, ultimamente, ci si ritrova a discutere – soprattutto in rete – sui motivi per cui nel nostro Paese non esista da anni un festival ai livelli delle grandi produzioni che animano le estati del resto d’Europa. Prima di parlarvi di questa prima tappa italiana dei Blur, dunque, anche noi tiriamo fuori un paio di questioni che, coi dovuti distinguo, rendono piuttosto bene l’idea del perché, in Italia, roba come uno Sziget, un Primavera Sound o un Pukkelpop non potranno mai vedere la luce finché si continuerà a ragionare/operare in un certo modo.
Inizio del concerto fissato per le ore 21.00, al nostro arrivo all’esterno dell’Ippodromo del Galoppo, ore 19.45, ci si staglia davanti una muraglia umana composta da migliaia di persone, incredibilmente ordinate nella loro chilometrica e serpentesca fila che s’avvolge su se stessa nel parchetto antistante la location. Pressoché immobili, si procede alla media di un metro ogni 10 minuti. Ci avviciniamo all’ingresso e capiamo il motivo di ciò: un solo accesso aperto, con due soli addetti ai controlli per le 10mila persone attese. Per di più, stessa fila per chi ha già il biglietto, per chi deve acquistarlo, per chi deve ritirarlo e persino per i giornalisti accreditati. Tutto inspiegabile ed inammissibile, perché poi, fattasi ‘na certa, finiscono i controlli e si comincia a procedere spediti verso l’ingresso, anche perché i più nervosi in coda cominciano giustamente a ribollire.
Ve ne raccontiamo un’altra: a fine concerto, ovvia e comprensibile fila ai punti bar per l’acquisto di acqua/bevande. L’acqua – incredibile, vero? – è il bene più gettonato, vengono emessi scontrini su scontrini… ma i bar l’acqua l’hanno finita da un po’. Chiediamo spiegazioni a un povero Cristo addetto a un punto ristoro, il quale con nonchalance risponde che «è l’ultimo giorno – la kermesse del City Sound si conclude proprio oggi coi Blur –, abbiamo finito tutto». Ma che scusa del #@$%&£ è mai questa? Finisce l’acqua la sera che vede la maggior affluenza di tutta la rassegna? Insomma, fatevi due domande e datevi due risposte, è davvero inutile continuare a sperare di non dover migrare all’estero per seguire un festival degno di tale nome.
Bando alle ciance, parliamo adesso di musica, che poi è quello che c’interessa: i Blur salgono sul palco alle 21.30 (in ritardo, sì, dato che tanta gente era ancora in coda alle 21.00), Damon Albarn urla un “good evening” e via con Girls & Boys. La setlist della serata, salvo un’aggiunta a metà, sarà praticamente identica a quella presentata nelle precedenti tappe del tour. Così troviamo Popscene, There’s No Other Way e poi il must Beetlebum, con Albarn che – chitarra alla mano – sale sulla pedana della batteria per un virtuale duetto col batterista Dave Rowntree, mentre Alex James picchia indolente il suo basso, scalzo e in bermuda in perfetto stile balneare.
Per la ballatona Out Of Time Albarn imbraccia la sei corde acustica, tutt’altra storia per la seguente Trimm Trabb: megafono d’ordinanza a inizio e fine pezzo, Damon si scatena come un forsennato nella parte conclusiva del brano, mostrando una verve per nulla scalfita dal passare degli anni. Toni smorzati con Caramel, è con Coffee & TV che si registra l’episodio più simpatico: partono le prime note, Graham Coxon alla voce, le telecamere della regia inquadrano nelle prime file un ragazzo che tira fuori un cartonato, un vero e proprio “abito” da cartoncino del latte, come quello protagonista del videoclip del brano. Qualcuno della crew della band lo invita a scavalcare le transenne e salire sul palco, la band divertitissima lo terrà su fino alla fine, con tanto di duetto improvvisato fra Albarn e il ragazzo-cartoncino. Ha vinto, è lui il genio della serata.
E’ con Tender, però, che si raggiunge l’apice emotivo del concerto: Coxon canta “oh my baby, oh my baby” e il pubblico risponde “oh why, oh my”, per un pezzo che fin dalla sua pubblicazione aveva assunto le sembianze dell’inno. A seguire quell’extra di cui si diceva sopra, offerto dai Blur alla platea milanese: «questo è un brano che non facciamo da tanto tempo» dirà Albarn presentandolo, è la volta di To The End.
Il binomio seguente è adrenalina allo stato puro: prima c’è il classico del brit-rock Country House, Albarn scende giù a livello transenne, s’arrampica e si tuffa fra la gente. Gli uomini della sicurezza lo strattonano da un lato, il pubblico dall’altro… finisce con le chiappe al vento e una tasca dei jeans strappata. Lui se la ride, risale sul palco, sistema il sistemabile e prosegue. Sì, perché c’è Parklife da eseguire, per il visibilio più totale. Giù dal palco si salta e si poga, sopra Damon non è da meno, si rotola a terra e urla “all the people, so many people” all’unisono col pubblico.
La chiusura prima dell’encore è affidata a End Of A Century e This Is A Low, che alle 22.40 chiudono la parte principale del set. Al rientro quattro pezzi attendono ancora la platea milanese: la nuova Under The Westway, con Albarn al piano; poi For Tomorrow e infine la corale The Universal, con 10mila persone che cantano insieme il ritornello. Ma tutto ciò è solo il viatico per il gran finale che – si sa – è affidato a Song 2, due minuti di devastante intensità rock e pogo scatenato che coinvolge ogni fascia di pubblico. Finisce così lo spettacolo, non una parola da parte della band che lascia il palco velocemente così come l’aveva invaso un’ora e mezza prima.
Sorvolando sulle già citate problematiche organizzative (aggiungiamo come chiosa conclusiva: inutile farsi la bocca larga coi grandi nomi se non si sanno gestire certi numeri), i Blur hanno messo in piedi un tour che – nonostante la dietrologia – sembra tutto fuorché una mossa meramente commerciale. Suonano ancora benissimo, tengono il palco come pochi altri e il titolo di miglior performance dal vivo della stagione se lo giocheranno fino alla fine dell’anno. Non come quegli altri due di Manchester…
SETLIST: Girls & Boys – Popscene – There’s No Other Way – Beetlebum – Out Of Time – Trimm Trabb – Caramel – Coffee & TV – Tender – To The End -Country House – Parklife – End Of A Century – This Is A Low —encore— Under The Westway – For Tomorrow – The Universal – Song 2