C’avevamo sperato in un’altra tappa italiana di Bon Iver a stretto giro, dopo quella dell’estate scorsa a Ferrara. In Emilia l’avevamo perso, ma stavolta dovevamo necessariamente esserci. Perché, ad oggi, pochissimi altri artisti sanno emozionare come Justin Vernon e la sua band. Sensazioni tangibili già dai video che costellano YouTube, figuriamoci dal vivo. Due dischi uno più stupendo dell’altro, un cantautorato ricercatissimo sotto tutti i punti di vista e – cosa che non guasta mai – un hype che non tende a scemare, tutt’altro. Non sorprende, dunque, che per quest’unica data autunnale l’Alcatraz di Milano abbia fatto il sold out con un bel po’ d’anticipo. In fila, fuori dal locale, di cosiddetti “hipster” (che a quanto pare hanno in Bon Iver una loro icona) ce n’è in abbondanza, ma in realtà il pubblico è piuttosto variegato: nell’età, nel look e nella nazionalità. Segno evidente, pure questo, di come Vernon sia riuscito in pochi anni a toccare corde anche parecchio distanti fra loro. Ad aprire la serata, intorno alle 20.15, ci sono le The Staves, tre sorelle inglesi che hanno fatto del folk minimale il proprio manifesto: giusto qualche corda pizzicata e le loro voci che s’inseguono, una sull’altra, a tessere piacevolissime tele melodiche. Un po’ a là First Aid Kit (e non solo perché sorelle come le Soderbergh), le The Staves non brillano certo per novità ma, in fondo, il loro mood rappresenta il giusto antipasto per quella che sarà la portata principale della serata.
L’attesa risulta lunga da digerire, quasi un’ora, ma alle 21.45 tutti gli elementi che compongono la band iniziano a prendere posto sul palco. Sono ben nove – o forse più, magari qualcuno c’è pure sfuggito nella confusione – i musicisti on stage, una vera e propria piccola orchestra: fiati, archi, ben due batterie e Vernon lì, al centro, con la sua chitarra. Il binomio iniziale è uguale a quello che apre il secondo omonimo album di Bon Iver, ovvero Perth e Minnesota, WI. Ma la curiosità più grande, almeno per quanto ci riguarda, era sicuramente quella di ascoltare i brani di “For Emma, Forever Ago” riarrangiati in chiave “band”. L’occasione si presenta già al terzo pezzo con una Creature Fear che, seppur avviluppata in una spirale elettrica ovviamente assente su disco, non perde un grammo del suo fascino. Intermezzi di violino fanno da perfetta colonna sonora all’atmosfera che si respira sul palco, con decine di luci a mo’ di candele ad illuminarlo flebilmente.
Dopo un pugno di brani estratti dall’ultimo lavoro, ovvero Hinnom, TX, Wash (semplicemente stupenda), Brackett, WI, l’arcinota Holocene e Towers, tocca anche a Blood Bank, dall’omonimo ep del 2009. Una delle esecuzioni migliori, questa, dell’intero concerto. La parte finale del set è in crescendo: Vernon in solitario esegue re: Stacks, poi è la volta di Flume e infine di un’accoppiata da brividi composta dal singolo Calgary (con Vernon alle tastiere e una meravigliosa chiusura elettrica) e da Beth/Rest. Sulle note finali di quest’ultima la band scende momentaneamente dal palco prima dell’encore di rito. Sono le 23.00 e ci sarà spazio per soli altri due brani: Skinny Love, neanche a dirlo il pezzo più atteso dal pubblico, cantato all’unisono con Vernon, e For Emma, che chiude definitivamente la performance milanese di Bon Iver. Il pubblico defluisce dalla sala, c’è chi acquista i vinili (in perfetto stile vintage) al banchetto del merchandising, chi la classica maglietta, mentre qualche coppia si scambia ancora effusioni dopo le parole cantate da Vernon per colei che fu la sua Emma. Noi, dal canto nostro, siamo felici di avercela finalmente fatta a vedere dal vivo uno degli artisti più rappresentativi di questo primo scorcio di nuovo millennio. Chapeau.
SETLIST: Perth – Minnesota, WI – Creature Fear – Hinnom, TX – Wash – Brackett, WI – Holocene – Towers – Blood Bank – re: Stacks – Flume – Calgary – Beth/Rest —encore— Skinny Love – For Emma
A cura di Emanuele Brunetto