La tentazione è forte, ma non vi racconterò della decisione di non andare a nessuna delle date italiane di Bruce Springsteen scegliendo a caso una città europea per poi rimanere ugualmente beffata dall’inettitudine delle infrastrutture siciliane. Non interessano a nessuno i dettagli di un viaggio durato 24 ore, organizzato dopo poche ore dalla cancellazione di un volo da Catania a Monaco. Tutto per non perdere il biglietto di uno show andato sold out un anno e mezzo fa. Ma ne vale davvero la pena? Domanda lapalissiana se relativa a un live di Springsteen.
Quello di Monaco è uno scenario completamente diverso da quello italiano. L’Olympiastadion è meravigliosamente immerso nel verde e al suo interno circolano centinaia di persone a prescindere da partite e concerti. Springsteen si presenta al pubblico prestissimo, addirittura qualche minuto prima delle 19:00, oggettivamente in gran forma, più di come era apparso nel corso delle prime date. Non ci sono sorprese rispetto alle scalette che circolano da quando è iniziato il tour.
Sembrerà banale, ma la sobrietà del pubblico tedesco, per nulla paragonabile all’esaltazione dei fan italiani, fa emergere prepotentemente la capacità di Springsteen e del suo collettivo di dare vita a uno spettacolo unico nel suo genere, facendo sì che pezzi più recenti e meno rilevanti come Ghosts si inseriscano perfettamente in un live che somiglia sempre più a un rituale sciamanico. Lo stile dei live springsteeniani è cambiato dopo la pandemia. E non solo per la staticità della scaletta. Gli intenti sono chiari: dimenticate bambini e fan adulti chiamati a ballare sul palco; niente più cartelli con richieste a eseguire pezzi fuori scaletta. Bruce Springsteen non è adulto: è vecchio. Lo è nel senso reale e carnale del termine: nei capelli, nel sorriso. Lo è nelle parole. Nei ricordi della sua prima band, i Castilles, e nell’omaggio a George Theiss morto nel 2018.
È invecchiato nei movimenti, nella voce ma non nel controllo della sua potenza: l’energia di Out In The Street o l’atmosfera giocosa di Darlington County, il fuoco di Badlands, il delirio di Born To Run, l’immortalità di Backstreet, sono e resteranno rituali collettivi destinati a ripetersi sempre, ogni volta come se fosse la prima. La ripetitività della scaletta fa sì che pezzi come la splendida Kitty’s Back, uno dei più snobbati dal vivo, sia ascoltata ad ogni data con un ensemble dalla potenza indescrivibile e singole improvvisazioni di tromba, sax, piano, di chitarra elettrica. Un caos perfetto tra musicisti, un gioco di prestigio atto a far sì che un violino diventi elettrico e una chitarra tzigana.
Esattamente a metà concerto inizia a farsi strada un riff da cui esce fuori una Johnny 99 completamente stravolta e riarrangiata in chiave jazz manouche, sporca e ironica come la Dublin Session del 2007. La decisione di non accogliere più nessuno sul palco durante Dancing In The Dark o di sostituire “Thunder Road” con I’ll See You In My Dreams come pezzo di chiusura stranisce più il pubblico che il Boss. Nei suoi live Bruce Springsteen sta creando una nuova narrativa, adesso, sotto le nostre orecchie stranite e impreparate. A noi è riservato il grande privilegio di vivere tutto questo, qui e ora.