La misura di quanto i CCCP – Fedeli alla Linea abbiano rappresentato per la musica italiana la dà il pubblico presente all’Astra Kulturhaus di Berlino per la prima delle tre date sold out che Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur hanno deciso di regalare al proprio seguito, in coda a quella meravigliosa mostra tutt’ora visitabile ai Chiostri di San Pietro, nella natia Reggio Emilia. Il pubblico attraversa almeno tre generazioni: chi li aveva già vissuti negli anni ’80, chi per questioni meramente anagrafiche li ha mancati di poco e chi ancora giovanissimo dimostra di aver studiato bene la storia. L’Astra Kulturhaus non è ovviamente una location casuale, situata com’è in piena ex DDR e con quel suo aspetto a metà tra il centro sociale e la balera, una sorta di gancio con un passato che non c’è più (da qui la terza “D” del concept “CCCP in DDDR” che sta per “dismantled”, ovvero smantellata), un piccolo borgo che resiste incastrato tra il cemento e la modernità in cui si trovano sale per la musica dal vivo, qualche altro locale notturno, graffiti e gallerie d’arte. Proprio lì, in quella Berlino divisa in due dal muro, avevano mosso i primi passi i CCCP ed è lì dunque che i CCCP hanno voluto fare ritorno per dare il via al risveglio della cellula dormiente (che definirla reunion, anche no).
L’inno della DDR dà il via alle danze, poi uno ad uno entrano loro per dire la loro, parla Zamboni in tedesco, parla Ferretti, il perché di “CCCP in DDDR” viene palesato, poi parla Annarella e poi è finalmente la volta della musica: Depressione caspica, Morire, Oh! Battagliero, Stati di agitazione, una Libera me Domine durante la quale Ferretti da fondo a tutto il suo magnetismo e via via per una profonda discesa in una storia collettiva che unisce chi sta sopra e chi sta sotto il palco, oltre a un intero Paese distante un bel po’ di chilometri da Berlino e l’Europa tutta, con cenni a questioni ancora tristemente attuali e irrisolte. Ferretti cambia qua e là qualche verso dei suoi, come succede ad esempio in Emilia Paranoica e Radio Kabul, e magari un giorno gli chiederemo il motivo di ciò, che comunque supponiamo già.
Tu menti e Curami, una dietro l’altra, infiammano una sala che non aspettava altro, mentre Punk Islam che arriva dopo un piccolo problema all’impianto elettrico (Ferretti ironizza adducendo il problema alla loro stessa tensione per il ritorno a Berlino) e Spara Jurij sono il culmine dello spettacolo, prima che nel bis ci sia spazio per la solita, meravigliosa Annarella da pelle d’oca, per i ringraziamenti della Benemerita Soubrette ai suoi “gioielli”, per Allarme, per la splendida cover della Kebab Träume dei D.A.F. invocata da Zamboni e per il finalissimo con Amandoti, cantata all’unisono da tutta la sala, tanto che è lo stesso Ferretti a doversi adattare al ritmo del pubblico e non viceversa.
Lo spettacolo è punk allo stato puro, non soltanto per quei quattro sul palco, per il simbolismo ricorrente che ricaccia indietro a una vita fa, per Annarella che sventola vessilli vari ed eventuali (tra cui un’enorme bandiera del PCI, con falce e martello annessi) o per Fatur che si perde e ci fa perdere nel suo teatro allucinato, è punk per concetto, per contraddizione, per una pura e semplice attitudine che ce l’hai o non ce l’hai, non la puoi mica comprare nell’ennesimo megastore. Ed è punk anche quando è la volta del breve monologo del giornalista Andrea Scanzi, voluto da Ferretti al seguito della band. Una presenza ampiamente annunciata così come la bordata di fischi che lo accompagnano dal primo all’ultimo secondo, tanto che Ferretti deve fare un’uscita non prevista sul palco per provare a “discutere” col pubblico, attirando su di sé l’attenzione, mostrando qualche dito medio e rivendicando il proprio diritto a portare sul suo palco chi più lo aggradi. Punk anche nella gestione di quest’intera faccenda, al netto dell’idea che ciascuno di noi può legittimamente avere riguardo i soggetti in questione.
Ed è così che in un colpo solo passano in secondo piano i decenni di silenzio dei CCCP, gli ampiamenti discussi, supposti e mai completamente sviscerati tradimenti ideologici di cui si sarebbe macchiato Ferretti nel corso degli anni, persino la nostalgia provata per qualcosa che si era vissuto o anche no, ma che si sarebbe voluto vivere eccome. “CCCP in DDDR” è diventata così la riappropriazione di qualcosa che ci appartiene, in termini musicali e sociali, i CCCP sono tornati a esserci e con loro un fondamentale spiraglio di pensiero in un mare di arte, di musica che non punge, non polemizza, non si oppone, non critica, non fa domande e men che meno dà risposte. In attesa del tour estivo, che li rivedrà nuovamente dal vivo in Italia, con uno spettacolo e una scaletta diversi da quelli di Berlino ma − e di questo ne siamo più che certi − non meno significativi. Bentornati.