A Londra i concerti iniziano presto, tant’è che alle 19.40 metto piede all’Underworld e i Conjurer stanno ultimando il proprio set. Sono la seconda band in scaletta, gli Art Of Burning Water hanno già suonato. I Conjurer appaiono ben rodati e sono padroni del palco. Il cantante ha una stazza notevole e l’assenza di barba stride col suo vocione cavernoso e brutale. Cattivi e zozzoncelli, ci danno dentro con un mix di post-hardcore, sludge à la Crowbar e black metal che è una meraviglia. Mi piacciono parecchio per il marciume che sputano addosso al poco pubblico. La serata sembra iniziare bene ma è un falso allarme.
Non posso spendere parole d’encomio per i due gruppi a seguire. I belgi Soul Grip non hanno mordente, affetti da un suono brutto e riff poco incisivi. I brani dagli accenti black e dalle tinte un po’ sludgeone che strizzano l’occhio agli Iron Monkey – ma ce ne passa – sono insipidi e privi di spunti intriganti. Bocciati così come gli Svalbard da Bristol, che si differenziano dalle altre band per la presenza di una frontgirl che affronta il compito con convinzione. Voce scream e headbanging a mulinello a iosa per la cantante/chitarrista, ma il gruppo di per sé non fa stragi. Ci sono timbri di chitarra dall’etimo new wave con molto chorus e riverbero nelle texture, ma è una semplice nota di colore in mezzo a un mare di nulla che mescola black metal (la serata è a tema) e melodie death scandinave. Questa roba l’ho sentita suonare molto meglio ad altre band, non vedo perché dovrei elogiare gli Svalbard che non hanno niente che li differenzi da un mare di gruppi tutti uguali. Il nuovo album esce a settembre.
Giunge il momento dei Celeste. La platea adesso è gremita e i quattro francesi si presentano sul palco con il solito set scenico: è tutto buio e ogni membro del gruppo ha una lucina rossa sulla testa. Quando partono i momenti più efferati con i blast-beat di batteria arrivano scariche di luce bianchissima provenienti dal fondo del palco. Per il resto è tutto oscuro come il loro sound che nasce tanto dal black metal quanto dal doom più funereo. I volumi sono astronomici, il che impasta molto le chitarre rendendole sì taglienti ma nel contempo confusionarie. I Celeste dimostrano comunque d’essere una band matura e con un piglio omicida collaudato in dieci anni di attività, i brani scorrono in un flusso senza soluzione di continuità estratti principalmente dall’ultimo album “Animale(s)” del 2013. Purtroppo, però, il gruppo è costretto a suonare solo 40 minuti, le band precedenti hanno accumulato un po’ di ritardo e oltre una certa ora non si può andare (sono solo le 22.45 ma per le distanze londinesi è già tardi). Ciononostante la scaletta striminzita è d’impatto, violenta e carica di odio, abbastanza per farmi prendere bene. Non passeranno dall’Italia in tempi brevi, bisognerà attendere un po’ per goderseli appieno.