Forse Robert, Simon, Porl e Jason non se l’aspettavano. Forse i Cure, una delle band più longeve del panorama rock, finora ne avevano solo sentito parlare di quel calore del sole del sud capace di riscaldare anche l’anima più nera. O forse come spesso è accaduto nella storia del gruppo britannico, si tratta “semplicemente” dell’esatto contrario: la scelta di uno scenario come quello offerto dal Teatro Antico di Taormina non è assolutamente casuale. E per i quattro è dolce farsi rapire dalla magia di mura dall’antica memoria, in un incantesimo che dura ben tre ore e che consegna istantanee indelebili ai 5000 presenti. Smith ed i suoi due nastrini blu, Gallup che sorride ai fans delle prime file, il ritrovato Thompson, Cuper che tra un bis e l’altro accarezza la sua compagna nascosta tra i tecnici del suono. Già nella tarda mattinata le stradine del piccolo centro di Taormina, da sempre affollate di turisti provenienti da tutte le parti del mondo, accolgono gruppetti di pallidi “young dark” e di meno vistosi estimatori della band. La febbre è già alta quando alle 17 Smith e compagni sono alle prese col soundcheck (tra le canzoni eseguite non troveranno spazio nella scaletta “The Drowing Man” e “It’s no you”), in pantaloncini e occhiali scuri Robert si guarda in torno, scambia qualche battuta col suo amico bassista che ne approfitta per scattare qualche foto ricordo.
Alle 19 vengono aperti i cancelli, la sicurezza e le forze dell’ordine organizzano minuziosamente qualsiasi dettaglio affinché nulla venga lasciato al caso. Reduci dai tour passati, nell’attesa si ci confronta, c’è chi ha visto tutte le tappe italiane del tour di “Disintegration” (1989), chi invece ha lasciato la band ai fasti del “Dream Tour” del 2000. I Cure spaccano il secondo e alle 21 30 sono gia “on stage”; i primi cinque pezzi, Open, Fashination Street, A Strange day, alt.end eThe Blood sono tutti tratti da episodi diversi della loro sconfinata discografia. Mancano le tastiere (la dipartita di O’Donnell e del chitarrista Bamonte è cronaca recente) e alcuni brani sono stati sottoposti ad un radicale “riaggiornamento”, vedi il caso di The end of the world, o della poppeggiante Push. La combine tra classici “scontati” e “nascosti” è perfetta: se Just like heaven e Lullabyinfiammano la platea taorminese, A night like this e A letter to Elisecommuovono e strappano degli applausi che difficilmente in altri concerti si registrerebbero. Non ci sono transenne tra la band ed il pubblico, solo i centimetri del palco, e Smith sembra esserne fantasticamente eccitato; ogni suo movimento genera un sussulto, ogni suo ammiccamento un boato. E’ la volta diThe Figurehead, con tanto di Sicily menzionata, e la sempre struggente One Hundred Years. E’ buffo e allo stesso tempo dolcemente elegante il 46enne principe della malinconia quando prova a masticare quale parola in italiano. Endeseguita in modo impeccabile chiude la prima parte del concerto. Ma il bello deve ancora arrivare. I Cure concedono, udite udite, ben 4 bis per un totale di 14 canzoni (quanti gruppi oggi farebbero la stessa cosa?), il primo dedicato all’era di “Seventeen Seconds”, il secondo all’album “Kiss me kiss me kiss me”, il terzo ai gioielli pop usciti dalla penna di Robert Smith e il quarto, infine, all’intensa Faith e ad una carrellata di brani tratti dal disco d’esordio. Questi quattro anzianotti (così Smith ama definire la sua band) neppure per un attimo hanno mostrato segni di cedimento o stanchezza, in un fantastico e avvolgente continuo ripensarci, prima di lasciare il palco e così, mentre Gallup e Thompson prendono la strada dei camerini, Robert resta indugiando, afferra la chitarra, attaccando con un altro pezzo e mormorando qualcosa che ha più o meno il suono di “hey, questo è l’ultimo brano, ok?”. Alla fine è solo una bugia. Cinque stelle.
Nota 1: riproposta dopo un quinquennio “Killing An Arab”, il cui ritornello è stato volutamente modificato in un saggio “loving an arab” e “kissing an arab”.
Nota 2: durante l’esecuzione di “Friday I’m in love”, Porl Thompson si è visto costretto a cambiare “al volo” la sua chitarra a causa della rottura di due corde.
SETLIST: Open – Fascination Street – A Strange Day – alt.end – The Blood – The End of the World – Shake Dog Shake – Us or Them – A Night Like This – Push – Just Like Heaven – A Letter to Elise – Lullaby – Never Enough – The Figurehead – From the Edge of the Deep Green Sea – Signal To Noise – The Baby Screams – One Hundred Years – Shiver and Shake – End —bis— At Night – M – Play For Today – A Forest —bis 2— If Only Tonight We Could Sleep – The Kiss —bis 3— Inbetween Days – Friday I’m In Love – Boys Don’t Cry —bis 4— Faith – Three Imaginary Boys – Grinding Halt – 10:15 Saturday Night – Killing An Arab
A cura di Vittorio Bertone