Dopo quasi 10 anni di attesa, ho visto per la prima volta Damien Rice in concerto. A partire dalla location, è stata una serata dai contorni surreali: per la prima volta nella storia, il Royal Hospital Chelsea, casa di riposo per più di 300 anziani veterani inglesi, ha aperto le proprie porte per ospitare una serie di concerti all’aperto il cui ricavato andrà in beneficenza. Appena varcata la soglia dell’enorme parco dell’ospedale, mi sono sentita come una fortunata nipote alla quale è stato concesso il privilegio di entrare in un mondo privato e speciale per andare a trovare i propri nonni. La sensazione si è fatta man mano più intensa quando, accanto alla gente in fila chilometrica per prendere un panino o una birra e stendersi sul prato in attesa del concerto, ho visto avvicinarsi ultraottantenni ex-soldati con la loro sgargiante divisa rossa ed il loro secchiello per gli spiccioli che racimolavano fondi per beneficenza come se fossero giovani e aitanti boy scout – uno di loro, tutto serio e compito, mi ha detto che avrei dovuto comprare una delle mascotte orsacchiotto a causa della loro “estrema coccolosità”.
Il concerto semi-acustico è iniziato alle 20:45 in punto, dato che l’unica condizione dei Royal Pensioners, alcuni dei quali hanno assistito affacciati alla loro finestra, è stato il coprifuoco alle 22:30. Un Damien Rice in jeans, maglioncino e chitarra in spalla è balzato sul palco sorridendo e ci ha regalato un inizio di scaletta da riportare con orgoglio negli annali dei concerti memorabili da raccontare alla futura progenie: Cannonball, Delicate, 9 Crimes e Elephant, una dopo l’altra. Una platea di 4.000 persone si è lasciata trasportare in un universo parallelo, totalmente rapita dalla sua voce, senza emettere nemmeno un fiato. C’erano solo Damien, la sua chitarra e qualche aereo sopra le nostre teste, a squarciare l’incanto con una cadenza ritmica.
Come avevo preannunciato a tutti gli amici e compagni di spleen baudeleriano che condividono il mio masochistico amore per la musica di Damien Rice, mi aspettavo una serata di commozione, singhiozzi e tristezza terapeutica collettiva, invece, con mia grande sorpresa, Damien Rice è una persona piacevole e divertentissima. Per tutta la durata del concerto ci ha regalato intermezzi di battute, interazioni esilaranti con il pubblico e aneddoti della sua infanzia nella piccola cittadina dell’Irlanda in cui è cresciuto, come quella volta che a 8 anni ha visto una Mercedes parcheggiata in strada e, per colpa dell’assunto che gli era stato inculcato dalla sua educazione strettamente cattolica secondo cui i ricchi possono solo essere protestanti e i protestanti sono il male, ha dedotto che una Mercedes fosse l’incarnazione del male, così ha tirato fuori una chiave e l’ha rigata.
Il resto della scaletta è stato abilmente variegato. Una chicca, la b-side Face, è stata accompagnata dall’ammissione: “I never play this and probably 4 people in the audience will know it. I’m very nervous ‘cause I’ll probably fuck this up”. L’incantevole Trusty And True è stata preceduta da un invito a lasciarsi andare e abbandonare ogni frustrazione per i sei minuti della canzone, dimenticando tutto il male che ci è stato fatto. Damien Rice ci ha regalato un altro scorcio di sé, rivelando che tutti sono convinti che lui scriva soltanto canzoni d’amore, mentre in realtà le sue sono canzoni di gelosia, amarezza, possessività e amore patologico, e che l’unica vera canzone d’amore che abbia mai scritto è I Don’t Want To Change You, dedicata alla sola persona con la quale abbia avuto una storia talmente travagliata, profonda e sofferta da raggiungere picchi di ilarità.
Verso la fine del concerto Damien ha invitato il pubblico ad alzarsi in piedi e avvicinarsi al palco, scusandosi con chi aveva pagato un posto in prima fila. Divertito, ci ha istruiti su come fare le seconde voci che si incastrano alla perfezione in Volcano. Durante il crescendo del breve encore, è salito su una sedia per suonare una devastante e corale The Blower’s Daughter, permettendo a tutti di vederlo, e ha concluso il concerto con una polifonica It Takes A Lot To Know A Man, che ci ha dato la conferma che Damien Rice è uno dei più talentuosi cantautori contemporanei, capace di emozionarti allo stesso modo su disco, con un’orchestra al seguito o in acustico da solo sul palco. E non avrei mai pensato di sorridere così tanto ad un suo concerto.
SETLIST: Cannonball – Delicate – 9 Crimes – Elephant – Face – Trusty And True – I Don’t Want To Change You – The Greatest Bastard – I Remember – Woman Like A Man – Long Long Way – Volcano —encore— The Blower’s Daughter – It Takes A Lot To Know A Man