Daniel Blumberg è un cantautore vero. Un gigante fra i coetanei, un musicista dall’indiscussa caratura capace di partorire una produzione costante e costantemente di livello, dallo splendido “Minus” (2018) in là. Giunge a Roma, in questo Maggio che sembra più Ottobre, nella cornice intima ed evocativa del Teatro Basilica, dinanzi la stessa piazza che deve, suo malgrado, sorbirsi di anno in anno il discutibile (artisticamente) concertone di rito: Piazza San Giovanni. È l’ennesimo appuntamento con la rassegna Unplugged In Monti, garante nella capitale di ottima e oculata programmazione.
L’inizio è previsto per le 21:30: Blumberg fa il suo ingresso con tredici minuti, accademici, di ritardo. Il sagomatore lo illumina in controluce, è vestito di nero come d’altronde si vedrà, di lì a pochissimo, è vestita la sua scaletta. In un silenzio quasi spettrale, pochi sbuffi di armonica avviano una performance d’intensità palpabile e profondissima. A parte lo strumento sopra menzionato, gli arrangiamenti vivono unicamente di campionature vocali e singhiozzi di batteria preimpostati, che si amalgamano e sovrappongono in toni ora cacofonici ora, semplicemente, plumbei. Daniel esegue il nuovo album, “Gut”, in uscita tra una settimana, dalla prima all’ultima traccia.
Col solo termine di paragone possibile nel singolo CHEERUP, la sensazione è che live si esplori un territorio ancor più sperimentale, accostabile all’universo Scott Walker piuttosto che a un tradizionale canone di songwriting. Ma di tradizionale, il ragazzo in questione, ha sempre avuto poco. Dopo appena quaranta minuti, di fatti, pone fine a un’esibizione forse difficile da condurre oltre – mentre nel pubblico qualcuno scoppia addirittura a ridere, quando non si sente più volare una mosca, a riprova della tesissima energia in sala.
A voler trovare il pelo nell’uovo, al netto della peculiare bellezza della serata, forse il cantautore avrebbe potuto concedere qualcosa di più – magari dopo una pausa, magari appena due brani, magari un contatto maggiore con l’audience. O magari no. Il cronista non può e non deve sostituirsi all’artista, ragionare in sua vece. Se questo disco è nato dalle viscere, nelle viscere è andato ad attorcigliarsi questo concerto. Commento valido sia per coloro che ne hanno abbracciato la poesia, sia per chi – gran dispiacere – si aspettava qualcosa di diverso.