Ore 23.22: i tecnici di scena stanno mettendo a punto gli ultimi accorgimenti eppure, nonostante in giro non ci siano ancora tracce di David Thomas e dei suoi “due ragazzi pallidi”, gli occhi dei presenti sono tutti puntati sul palco e più specificatamente, sui dettagli di una scarna, quanto originale scenografia: una sedia di legno, un grembiulino rosso e una cornetta telefonica. Quando colui che con la sua creatura più riuscita, i Pere Ubu, realizzò “The Modern Dance” (1978), una delle pietre miliari della new wave, fa il suo ingresso, si ha come la sensazione di essere stati travolti dalla mole monumentale di questa leggenda vivente – rigorosamente in nero -, a metà tra Orson Welles e il meno quotato Dom DeLuise. Dopo l’esecuzione del primo brano, proveniente dall’apprezzato “18 Monkeys On A Dead Man’s Chest” del 2004, Thomas, visto il tono confidenziale della serata, decide di mettersi in totale libertà: tolte le scarpe, via i calzini. Il pubblico sembra gradire e applaude caldamente, mentre il nostro si guarda intorno chiedendosi “where is my wine?”. Non c’è una scaletta predefinita. Ad ogni conclusione di brano Thomas si avvicina a Keith Molinè (chitarra) e Any Diagram (tromba) e ne concorda l’esecuzione di un altro. Lo show scivola via piacevolmente. L’ex Pere Ubu con il suo melodeon racconta di malinconiche storie d’amore e di un’America che forse non c’è più, mentre Diagram confeziona elegantemente la parete sonora che fa cornice all’intera esibizione. David Thomas beve, commenta la qualità della birra tedesca, rutta, tossisce, urla, sorride, suda, si stanca. L’encore del trio dura circa venticinque minuti. Altri applausi, altri “thank you very much”. Il concerto raggiunge il suo capolinea e poi succede quello che non ti aspetti o che non sei più abituato a vedere: David Thomas, mica uno qualunque, si accomoda ai piedi del palco a vendere i propri dischi ed a firmare un numero sproporzionato di autografi. Dal produttore al consumatore, come solo i “grandi artigiani del rock”, quelli che indossano il grembiule prima di suonare, sanno fare.
A cura di Vittorio Bertone