Ci sono cose da fare almeno una volta nella vita. Andare a un concerto di hardcore/industrial hip hop, sinceramente, potrebbe rientrare tra queste. Se così fosse – ed è d’uopo utilizzare il condizionale in base alle preferenze di ognuno, per carità – scegliere un live dei Death Grips come occasione in merito non sarebbe sbagliato. Perché di rado si avrà una chance di assistere a una performance più tirata, scenografica, scatenata. Perché è inammissibile si possa dire che non valga il prezzo del biglietto.
Il folle trio di Sacramento fa il suo ingresso sul palco alle 22:45, di fronte a una platea gremita e prevalentemente composta da giovani e giovanissimi. Totalmente incapaci di perdersi in chiacchiere, MC Ride e soci tirano giù immediatamente tutti i santi del paradiso con bombe a mano come Bubbles Buried In This Jungle e Get Got. Le tracce si susseguono una dopo l’altra senza un secondo di respiro: non c’è tempo nemmeno per gli applausi tra le bordate di Zach Hill e Andy Morin, che fomentano il pogo indemoniato sotto cassa. La fulminante carriera del gruppo scorre in successione tra gli ultimi capolavori (Giving Bad People Good Ideas, Hot Head) e le vecchie – si fa per dire – glorie (System Blower, I’ve Seen Footage) sino all’ultimo, incredibile iato dell’amatissima Guillotine.
Senza concedere bis e dopo un’ora esatta di rapidissimo, rodatissimo caos programmato, i Death Grips si congedano in un’atmosfera da fine match tra i volti esausti e appagatissimi degli astanti. Chiedete a loro se è un’esperienza da fare almeno una volta nella vita. A giudicare dagli occhi increduli, ripeterebbero lo stesso giorno daccapo come un infernale Groundhog Day. E a ben donde. Potete giurarci.