L’aria per le strade di Taormina è diversa, si sente, si avverte, si colora di accenti forti e lingue quasi incomprensibili. Ma non c’è da stupirsi: il ragazzo che ha trasformato in musica e parole le terre estreme suona in Sicilia, la madre delle terre selvagge. Sul palco si intravedono due bobine, una valigia aperta, le chitarre poggiate sui supporti e un tappeto. Prima che le luci si spengano del tutto, sul palco fa timidamente capolino Glen Hansard, accolto dal pubblico con un calore solitamente non riservato agli artisti di supporto. Eh menomale, Glen Hansard non è un ragazzino intimidito dalla folla. È un caro amico di Eddie Vedder, oltre che un bravo musicista e un fidato compagno di viaggio.
Sulle note di Batman è chiaro, la redenzione sta per iniziare. Eddie Vedder ondeggia a piccoli passi verso il centro del palco con una bottiglia di vino e dei bicchieri in mano, si siede e scelta la prima chitarra ammutolisce tutti: Long Road, una strepitosa cover di Bad degli U2 e Wishlist segnano l’inizio del viaggio. Vedder è uno di quegli artisti che ti convince di essere soprannaturale e al tempo stesso un amico con cui andare a bere una birra (una forse è troppo poca), parla al pubblico come se si rivolgesse personalmente a ciascuno: racconta di come è nata la voglia di fare due date in Italia e non nasconde l’impatto emotivo, ma al tempo stesso intimo e rilassante, del Teatro Antico rispetto al casino dei 50.000 di Firenze. “In un posto come questo possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo. Ho una lunga lista di canzoni e voglio suonarle tutte”. I Am Mine e Can’t Keep, malinconiche e arrabbiate, sono da brivido.
Ogni cosa, sul palco, dà vita a una riflessione o un aneddoto, così quando prende in mano l’ukulele per suonare Without You parla della grande tradizione liutara italiana arrivando alla conclusione che se lo strumento fosse stato inventato in Italia avrebbe avuto minimo otto corde e sarebbe stato molto più costoso: “Ah, in effetti è successo: l’avete chiamato mandolino!”. Prima di cantare It Happened Today, racconta di quando si trovava a Berlino con Michael Stipe per registrare insieme il pezzo e non nasconde la difficoltà dell’incisione dopo aver provato dodici differenti tipologie di vino. Ma non si scompone più di tanto, continua a bere, cantare e suonare. Offre da bere a tutti, prova a propinarlo anche al bambino in fondo alla platea. Ma si sa, una bottiglia di rosso implica condivisone ed Eddie Vedder non perde tempo a dare due bicchieri ad altrettanti fan pescati a caso, facendoli brindare e abbracciare e creando una splendida commistione tra paesi differenti.
Seguono le prime quattro tracce della colonna sonora di “Into The Wild”, ad eccezione di Guaranteed che chiude sia la sequenza che l’album. Non passa inosservata l’intenzione dell’artista di omaggiare pietre miliari della storia del rock con i pezzi meno conosciuti degli stessi: così si passa da Picture In A Frame di Tom Waits a Isn’t It A Pity di George Harrison. Nell’ultima parte del viaggio, il palco si riempie e insieme a Eddie Vedder salgono gli olandesi Red Limo String Quartet, che regalano al pubblico una lunga sequenza di brani sia dei Pearl Jam che dell’artista da solista, interpretando un’incredibile versione di Jeremy voce, chitarra e archi e una Heroes di David Bowie che lascia tutti senza fiato. Vedder non nasconde lungo tutto lo show l’emozione di suonare in un luogo sospeso nel tempo come il Teatro Antico, ma ciò che lo colpisce maggiormente è l’acustica del teatro stesso.
Così, quando Glenn Hansard sale a fargli compagnia, il cantante ne approfitta per fare un esperimento un po’ particolare. Davanti alle tribune completamente al buio, i due si esibiscono in una versione di Sleepless Nights senza alcun microfono né amplificazione: solo l’ukulele e la voce di Eddie, una cassa di risonanza umana. È quasi ora di finire, quasi. In chiusura, Hard Sun interpretata da tutti trasforma il pubblico nel coro gospel più grande del mondo. Eddie Vedder è una magia, non solo perché ha raccontato di quel ragazzo e del suo Magic Bus: ci ha fatto credere forti e immortali. Ci ha fatto immaginare un mondo senza muri, frontiere e confini, anche solo una volta, anche solo per due ore.
SETSLIT: Long Road – Bad (U2 cover) – Wishlist – I Am Mine – Can’t Keep – Without You – Sleeping By Myself – It Happened Today (R.E.M. cover) – Drifting – Setting Forth – No Ceiling – Far Behind – Guaranteed – Rise – Picture In A Frame (Tom Waits cover) – The Kids Are Alright (The Who cover) – Out Of Sand – Better Man – Porch —ENCORE— Isn’t It A Pity (George Harrison cover) – Crazy Mary (Victoria Williams cover) – Jeremy – Heroes (David Bowie cover) – Just Breathe – Lukin – Song Of Good Hope (Glen Hansard cover) – Sleepless Nights (The Everly Brothers cover) – Society (Jerry Hannan cover) – All Along The Wachtower (Bob Dylan cover) —ENCORE 2— Hard Sun (Indio cover)