I Gojira rappresentano molto probabilmente l’evoluzione che il suono heavy dovrebbe prendere nei prossimi anni. Anche sforzandomi non riesco a trovare un esempio più concreto di scelte stilistiche azzeccate, di sviluppo e arricchimento sonoro come accaduto nei 4 di Bayonne. Degli esordi prog death a sfumature industriali è rimasta ormai solo la violenza dei suoni, mentre il songwriting si è completato di soluzioni melodiche, cleaning vocals e arrangiamenti complessi e ricercati che han portato a quel capolavoro che è “Magma” (2016) e che finalmente i francesi stanno portando in tour come headliner per tutta l’Europa dopo aver già supportato gli Alter Bridge lo scorso inverno.
Purtroppo o per fortuna il mix impegni vari, una Milano arroventata da un clima sub-tropicale e la dipendenza dal trasporto pubblico non mi permettono di giungere all’Alcatraz in tempo per vedere la band di supporto, quei The Raven Age che hanno come merito principale l’avere tra le proprie fila George Harris, figlio del più celebre Steve che sicuramente (e perché no, dai) sta aiutando i giovani a trovare date con un una certa facilità. Poco male, il loro heavy è, almeno su disco, lacunoso e un po’ banale e nonostante ritengo vada sempre onorato un concerto nella sua integrità, forse meglio che sia entrato nella sala giusto per l’ingresso dei Gojira.
I suoni sono semplicemente perfetti; l’Alcatraz è una garanzia in questo e l’esperienza data da anni di show estremi l’hanno reso ormai da tempo il palco numero uno in Italia sia per dimensioni che per organizzazione. L’apertura è leggermente in sordina, serve qualche minuto a Duplantier per trovare il feeling appropriato ma già dalla seconda, devastante, The Heaviest Matter Of The Universe il frontman si carica tutta la band sulle spalle e inizia a sventrare la propria Charvel.
La setlist, com’è giusto che sia, verte in gran parte sull’ultimo “Magma”, risultando ottima grazie al livello elevatissimo dei brani presenti su quel disco. I singoli Silvera e Stranded sono pane per l’affamata platea, che reagisce con foga alla proposta dei francesi. Nulla viene proposto dai primi due album ma il muro di suono è costante e la necessaria violenza viene offerta sotto forma di brani come Flying Whales (PAZZESCA nei suoi 8 minuti), L’Enfant Sauvage e Toxic Garbage Island, scelti tra i dischi più anziani.
La risposta del pubblico è ottima; in un contesto per nulla oberato e che permette di godersi lo spettacolo con buona libertà il riscontro dell’audience è fondamentale per la tenuta di tutto lo show. I tanti giovani (davvero giovani) presenti sono gasati e partecipi e i due fratelli Duplantier rispondono con verve fino alla chiusura, quell’angosciante Vacuity che è closer già da anni di tutte le loro performance.
La terza discesa in Italia in un anno la dice lunga su una band molto attiva e che ama la dimensione live ma che la vive forse troppo di cervello e poco di cuore. la prestazione è stata perfetta lato professionale e questo dovrebbe bastare, ma qualche pausa di troppo e il solito rifiuto di suonare un brano in più finiscono per smorzare l’esaltazione a fine del concerto, lasciandoci contenti per quanto ascoltato, ma in fondo un pochino perplessi per quanto non ancora vissuto appieno.
SETLIST: Only Pain – The Heaviest Matter Of The Universe – Silvera – Stranded – Flying Whales – The Cell – Backbone – L’Enfant Sauvage – Drum Solo – The Shooting Star – Toxic Garbage Island – Guitar Solo – Pray —ENCORE— Oroborus – Vacuity