Partiamo col dire che Il Cibicida si mette a disposizione per una raccolta firme da girare alla Sub Pop a favore della pubblicazione di un live del tour acustico di Mark Lanegan e Greg Dulli. Perché lo spettacolo di Roma all’Auditorium (e ci mettiamo la mano sul fuoco, anche il resto del tour) è roba da storia. E’ la prova di quanto il rock americano abbia vissuto negli anni ’90 una delle fasi migliori di sempre. Stripped Down In The Gutter, questo il nome del tour dei “gemelli acidi”, è l’unplugged che Lanegan e Dulli non poterono fare con le rispettive band ai tempi di quelli di Nirvana, Pearl Jam e Alice In Chains. E’ il sigillo di una sintonia musicale che ha raggiunto livelli senza precedenti. Sul palco, dunque, Greg con la classica riga di lato, Mark con capelli più lunghi del solito ed un volto tutto sommato rilassato e Dave Rosser, già chitarra virtuosa nel disco “Saturnalia”, siedono comodamente su delle sedie. Immediatamente si assiste all’incastro tra voci dei primi due che è memorabile: fuoco dell’inferno dalla caverna vocale di Mark, potenza muscolare dalle corde vocali di Greg. In scaletta c’è praticamente tutto di loro: brani dal repertorio dei Twilight Singers, dalla carriera solista di Lanegan, dagli Screaming Trees e naturalmente dai Gutter Twins (The Stations, God’s Children). Tutto con due chitarre, una acustica e una elettrica, e con Lanegan che si concentra esclusivamente sulla voce. Anzi no, ci correggiamo, perché il cantante di Ellensbourg non si applica in nessun tipo di sforzo, pare raccontarci le sue storie senza mai esaltare artificiosamente la sua voce. C’è qualcosa di straordinariamente innaturale nel suo cantato, roco, profondo, perfetto, ma portato al microfono con una scioltezza incredibile, come boccheggiare una sigaretta o bere un drink. Sono lontani i tempi in cui entrava e usciva dalla disintossicazione, pare aver masticato via, come tabacco, tutti gli spettri che lo tormentavano. Dulli invece è il più dinamico del trio: suona la chitarra, canta, controcanta, s’alza per andare al pianoforte, si risiede e soffia in un’armonica. E’ lui il leone, sudato, agitato, che detta i tempi del concerto. Rosser, infine, è la cornice di tutto ciò, bravissimo dunque a farsi da parte nell’esaltazione dei suoi compagni. Quasi due ore di canzoni sacrificate al blues, di ballate ricoperte della sabbia del deserto, di racconti sul dolore e sull’amore, quello dell’Auditorium è un concerto che non lascia nessun dubbio sul convincente stato di forma dei due musicisti. E siccome ormai è chiaro che questi maledetti gemelli del rock sono gli eredi legittimi della tradizione musicale americana, la coda del concerto è dedicata a due brani che di quella storia fanno parte: (All I Have To Do Is) Dream degli Everly Brothers e Tennessee Waltz di Redd Stewart and Pee Wee King intonata da Rosser. Solo un’ultima considerazione prima di chiudere: Manuel Agnelli è proprio sicuro di voler passare da un tour a fianco di Greg Dulli, a un palco a fianco della Zanicchi?
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra