Quando alle 21.15 il concerto ha come da programma inizio, l’Ippodromo del Galoppo non è affatto pieno: uno sguardo veloce alle nostre spalle ci fa capire che un paio di migliaia di persone al massimo hanno deciso di non mancare all’appuntamento di questa sera con un pezzo di storia. L’apertura è di quelle ad effetto con Raw Power. Iggy non perde un secondo ed è subito indemoniato: petto nudo d’ordinanza, cicatrici che come i cerchi di un albero testimoniano quante ne ha passate, arranca sbilenco da destra a sinistra e ritorno in un moto perpetuo senza soluzione.
I brani estratti dal nuovo lavoro anche dal vivo hanno il loro perché, Sex & Money ha il passo giusto per non far perdere velocità alla setlist, mentre Burn rende davvero bene anche in questa versione proposta live, meno patinata rispetto al disco. Tra un fucking thanks e un riutilizzo in chiave “fallica” del microfono, non si riescono a seguire del tutto gli spostamenti e la mimica dell’Iguana, tanto è elettrico: distrugge l’asta del microfono picchiandola violentemente sul palco, svuota numerose bottigliette d’acqua a mo’ di doccia, si struscia sull’impalcatura, scende giù a livello transenne per avere il contatto col pubblico, saluta, si mette in posa, si atteggia. Insomma, fa l’anfitrione per come lo si conosce, nonostante le primavere sul groppone siano ormai la bellezza di 66.
I brani degli esordi sono – neanche a dirlo – i più attesi: Gimme Danger e Search And Destroy sono, insieme alla già citata “Raw Power”, il tributo al seminale album del ’73. Durante Fun House come di consueto Iggy chiama un po’ di persone del pubblico sul fucking stage per quel rito pagano che ama celebrare durante ogni suo concerto. Qualcuno alla fine del pezzo si rifiuta di scendere rapidamente e la sicurezza ci mette un po’ a ristabilire l’ordine. Poi a metà setlist è la volta del trittico che scatena definitivamente la folla: I Wanna Be Your Dog, con quel come on urlato a squarciagola tanto dall’Iguana quanto dal pubblico stesso, la celeberrima No Fun che resta – anche a distanza di 44 anni – un pezzo da paura e quella The Passenger incisa da Pop in solitario ma riproposta frequentemente dal vivo anche con la band. Il pogo sotto al palco si fa adesso insistente.
Il resto della band, i “nuovi” Stooges, non demerita affatto: Steve Mackay col suo sassofono tinge alcuni dei momenti più brillanti della performance, James Williamson sembra un ragazzino alla chitarra, Mike Watt (basso) e Toby Dammit (batteria) si fanno sentire con la loro sezione ritmica prettamente punk. Iggy di tanto in tanto si allontana dal centro del palco, una di queste volte ritorna poi con un giubbino di pelle tutt’altro che sobrio, con tanto ti tigre (?) disegnata sulla schiena.
“There is a thing I have to say before I go…”, dirà il teatrante Iggy Pop con tono serioso a fine concerto: partono le note del classicone Your Pretty Face Is Going To Hell. Portato per le lunghe, il pezzo chiude la setlist, ma Iggy resta ancora lì sul palco, in posa, a godersi il pubblico che inneggia al suo nome. Fa per andarsene, poi ritorna. Rivà via di nuovo, ma ha ancora in serbo l’ultima sorpresa: si abbassa i pantaloni mostrando gli attributi, la regia del City Sound che cura le riprese proiettate sui maxi-schermi cambia repentinamente inquadratura, salvo riproporla pochi secondi dopo con Iggy Pop già di spalle, ma sempre con le chiappe al vento.
Dopo 85 minuti di live, così, ha fine la performance degli Stooges e il personalissimo show nello show di Iggy. Una “baracconata”, sentiremo dire con tono sprezzante a qualcuno. Certamente la genuinità di un tempo è roba lontana (e non potrebbe essere altrimenti), ma bisogna ammettere che in quanto a verve, voglia di esibirsi e capacità di tenere in pugno la folla, l’Iguana ha molto da insegnare a tante frotte di 20/30enni che oggi osano definirsi rockstar. L’energia c’è ed è ancora tanta.