Sono bastate solo poche squillanti sghignazzate di Pierpaolo Capovilla a far capire che il teatrino degli orrori era in città. Poche sfrontate smorfie da collasso umano, da fine del mondo. Pierpaolo sale sul palco del Circolo e il male s’impossessa del suo corpo snodabile tutto fasciato di nero. Da lì comincia la pièce più devastante del rock indipendente italiano, si comincia con “Dell’Impero Delle Tenebre” e con il metallo sfrontato de Il Teatro Degli Orrori da Venezia. La band veneta (Capovilla, Favero, Valente, Mirai) lo sbatte in faccia con tutto lo sdegno di cui è in possesso, il metallo. Vita mia, Il turbamento della gelosia, E lei venne, Carrarmatorock! (cantata a squarciagola dal pubblico) tutte sventrate per il pubblico romano. Capovilla è una specie di avido Nosferatu: aggredisce l’asta, pietrifica le prime file, sputa i suoi versi lapidari crivellati come fossero pallottole liriche. E poi si fa maschera del teatrino dell’assurdo, gioca con le mimiche di Carmelo Bene, balbetta follie, trapana ossessioni: “hai visto che va tutto bene? Va tutto bene t’ho detto, va tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto beeeeene”. Quello del Teatro, dal vivo, è un rock malvagio, fatto di scariche epilettiche, voci grosse, esorcismi sonori. Si respira aria pesante, si vive il racconto delirante del disfacimento “di sto paese di merda”. A partecipare a questo rito satanico balzano sul palco anche i romani Zu che con Capovilla e soci hanno realizzato di recente uno split: “sapete cos’è uno split? Negli anni ‘80 si facevano. Ricordate gli anni ‘80? Il craxismo, l’edonismo reganiano, insomma tutto esattamente come adesso”. E gli Zu non se lo fanno dire due volte, portano in campo un sax, una basso, una batteria e ancora più chiasso, più cattivi umori, più fumi tossici. E allora fa bene alla circolazione ogni tanto sentire il vecchio spirito del rock che ti sbronza il sangue. E’ cosa buona quando dalla mischia sonora si raccoglie almeno un pugno di buone emozioni. Anche perché, non appena si scaglia la storia partigiana di Compagna Teresa (“davvero una grande donna, cazzo”), ma soprattutto lo struggente rimuginare de La canzone di Tom, allora sì che “non si può più tornare indietro”. E la chiusura delle tende rosse, con la fine delle ostilità e la partenza del carro non diluisce la scia infuocata de Il Teatro degli Orrori. Minacciosamente cingolanti, diabolicamente pericolosi. In marcia, verso la vostra città.
A cura di Riccardo Marra