Partiamo da una constatazione tanto spiacevole da fare quanto doverosa: 38 euro per un concerto sono troppi. D’accordo che gli Interpol dispongono da sempre di una fanbase di tutto rispetto, arricchita da nostalgici dei Joy Division e della new wave. D’accordo che in Slovenia vige l’intelligente principio che il biglietto in prevendita costa meno (a differenza dell’Italia). Ma, in piena crisi economica mondiale, promoter ed artisti dovrebbero darsi una calmata, altrimenti l’intero sistema musicale (i cui introiti ormai derivano principalmente dai concerti) prima o poi collasserĂ in modo tanto violento quanto improvviso. Detto questo, non posso che parlare bene di questa serata, a cominciare dalla location. Il Krizanke è un monastero medievale situato nel centro storico di Lubiana, che, con la sua lieve pendenza e la sua perfetta acustica, sembra costruito appositamente per un concerto rock. Ad aprire la serata sono gli sloveni We Don’t Sleep At Night, un giovane e convincente trio ideale come band di supporto, visto che spazia tra gli Interpol stessi ed il britpop: promossi a pieni voti, meriterebbero una chance a livello europeo. Alle 22 in punto salgono sul palco Paul Banks e soci, protagonisti di un live breve ma davvero intenso. La prima cosa che noto è il volume altissimo, al quale non ero piĂą abituato (d’altronde i limiti di decibel in Italia ormai rasentano il ridicolo…) che mi costringe ad indietreggiare fino alle ultime file. La scaletta dĂ ovviamente spazio all’ultimo album, che non poteva che chiamarsi Interpol: rappresenta infatti un giusto ritorno alle origini per la band di New York (dopo le parentesi pop di “Antics” e “Our Love To Admire”), che si presenta con una line up rinnovata e convincente. Incassata senza drammi la dipartita di Carlos Dengler, gli Interpol danno infatti vita ad uno spettacolo assolutamente ineccepibile ed a tratti davvero emozionante. Come scritto prima, il repertorio dei newyorkesi dispone di alcune gemme pop rock (Slow Hands, Evil, The Heinrich Maneuver) che però da sole non basterebbero a giustificare l’entusiasmo dei presenti. Quello che ha dato in questi anni agli Interpol una marcia in piĂą è stata la capacitĂ di creare quelle atmosfere splendidamente cupe e tetre tipiche dei Joy Division, riadattandole al suono del nuovo millennio. Atmosfere che penetrano il cuore, come nel caso di Lights – un mantra ipnotico giĂ splendido nella versione in studio – che dal vivo (grazie alla batteria di Sam Fogarino ed alle tastiere di Brandon Curtis) compie il definitivo salto di qualitĂ , diventando per il sottoscritto una delle piĂą belle ed emozionanti canzoni mai sentite live (e di concerti fortunatamente ne ho visti parecchi). Devo ammettere che non tutte le canzoni degli Interpol mi convincono, alcune mi sembrano un po’ ripetitive (non è un caso che non sia un fan del genere) ma la magia della serata è intatta. D’altronde, se tra qualche anno penseremo agli artisti che hanno dato un senso al decennio appena trascorso, troveremo sicuramente gli Interpol: non la migliore band, non la piĂą originale (in questi due casi vincerebbero facile gli Arcade Fire), ma comunque un gruppo che verrĂ ricordato anche in futuro e magari ulteriormente rivalutato. Gli ultimi anni ci hanno regalato fin troppi presunti rocker fighetti con la frangetta, ben venga allora l’oscura eleganza degli Interpol.
SETLIST: Success – Say Hello To The Angels – C’mere – Hands Away – Barricade – Rest My Chemistry – Narc – The New – Evil – Lights – Summer Well – The Heinrich Maneuver – Memory Serves – Slow Hands – Not Even Jail —encore— Leif Erikson – Take You On A Cruise – Obstacle 1
A cura di Karol Firrincieli