Che cosa porti alcune leggende del mondo heard ‘n’ heavy a vivere una eterna giovinezza è per noi comuni mortali materia totalmente oscura, sta di fatto che gente come Lemmy Kilminster (RIP) piuttosto che Keith Richards, nonostante una vita di eccessi abnormi, è riuscita (o riesce tuttora) a campare oltre limiti umanamente concepibili.
Senza dubbio in questa lista di eccelse rarità c’è da inserire gli inglesi Iron Maiden, un gruppo di arzilli sessantenni che oltre ad aver scritto la storia del metallo mondiale sin dagli esordi (era NWOBHM di fine anni ’70) continua ancora ai giorni nostri a dettare legge sia in studio ma soprattutto dal vivo senza quasi temere rivali.
Sessantenni con decine di migliaia di concerti alle spalle lungo quarant’anni di carriera e che trovano sempre modo e occasione di tributare il dovuto rispetto a uno dei suoi pubblici più affiatati, quello italiano. Questa estate la location è quella del riuscitissimo Milano Summer Festival, semi stravolto nella organizzazione per permettere di ricevere i quasi ventimila appassionati (di ogni possibile età) impazienti sin da metà pomeriggio di poter apprezzare ancora una volta quella che è sempre una esperienza di altissimo livello, nonostante sia trascorso meno di un mese dalla fantastica data di Firenze.
Opening act a parte, che non dispero per essermi perso integralmente, la lotta al caldo e alle zanzare non mina assolutamente quello che sarà un classico concerto Maiden e di conseguenza quanto di meglio si possa chiedere per influenza e professionalità. La setlist è tradizionale, il “Legacy Of The Beast Tour” non promuove uno studio album e per questa ragione è occasione per offrire una performance fatta di grandi classici e nostalgia pura.
Il trittico delle meraviglie iniziale è spontanea energia, sprigionata anche dalla grandiosa e cangiante scenografia (l’aereo che sorvola il palco su Aces High è immenso). Dickinson è un frontman incredibile: a quell’età non dovrebbe esser possibile saltare ininterrottamente per oltre un’ora e mezza senza cedimenti, tra innumerevoli cambi di costume (uno per canzone) e maratone lungo tutto il palco senza compromettere, a parte la comprensibile stanchezza nel finale, una prestazione di autentica maestria nel controllo vocale. Non che i suoi compagni siano da meno, Janick Gers è un autentico giullare e Steve Harris è carisma allo stato puro ma il vero protagonista, colui che riempie lo stage e ha incollati gli occhi di tutta l’audience è sempre e solo lui, The Air-Raid Siren.
Sempre emozionanti i cori su Fear Of The Dark, una canzone perfetta per l’interazione col pubblico, davvero devastanti le varie The Wicker Man e The Trooper, sebbene i suoni delle chitarre siano meno limpidi di altre occasioni. Sul finire, dopo la classica Iron Maiden ad anticipare i bis, perle come The Evil That Men Do e Hallowed Be Thy Name accompagnano verso la solita closer, quella Run To The Hills che nonostante la semplicità e immediatezza è un simbolo di quello che la musica della Vergine è, immortale e fondamentale. Può venir spontaneo chiedersi per quanto tempo ancora sarà possibile godere di una presenza così costante e di invidiabile livello. La risposta per fortuna non c’è e non la vorremmo mai davvero sapere, long live to Iron Maiden!
SETLIST: Aces High – Where Eagles Dare – 2 Minutes To Midnight – The Clansman – The Trooper – Revelations – For The Greater Good Of God – The Wicker Man – Sign Of The Cross – Flight Of Icarus – Fear Of The Dark – The Number Of The Beast – Iron Maiden —ENCORE— The Evil That Men Do – Hallowed Be Thy Name – Run To The Hills