Non è nuovo alla platea catanese il giovane Sean Scolnick col suo progetto Langhorne Slim. Si è già esibito un altro paio di volte in città, ma adesso che mancano una manciata di minuti all’inizio dello show allo Zo, la situazione è parecchio cambiata. Perché Langhorne Slim è uscito da poco col suo nuovo lavoro in studio, omonimo, che ha raccolto più di un consenso in giro per la rete fra recensori più o meno professionisti, e si trova a Catania a conclusione di un lungo tour italiano che ha riscosso un notevole successo. Appare quindi normale che la sala del locale sia abbastanza popolata, per un nome che fino a qualche tempo fa equivaleva a quello di un perfetto sconosciuto. Ed è così che Sean si posiziona sul palco, riconoscibilissimo per via di quel look anche stasera identico alle foto promozionali che circolano, con tanto di cappellaccio nero. Non prima però che i catanesi Decabr abbiamo posto fine alla propria performance per lasciare spazio al guest della serata. Sono trascorsi dieci minuti da quando è scoccata la mezzanotte, e le note partorite dalla sei corde acustica di Sean cominciano a scuotere i presenti, con quei forsennati ritmi country mutuati dall’ampia tradizione americana, e presi in prestito da Scolnick con la promessa – mantenuta – di sfruttarli a dovere. Come aveva fatto per “When The Sun’s Gone Down”, il suo album del 2005 da cui vengono estratti i pezzi più movimentati del concerto. Malachi DeLorenzo, membro fisso della band, non smette un attimo di percuotere le pelli della sua batteria, dettando i tempi e fungendo da perfetto accompagnamento agli assalti alla diligenza messi in piedi da Langhorne Slim. Così come l’altro tassello del terzetto, Paul Defiglia, oscurato dall’enorme contrabbasso dietro al quale si “nasconde”, dedicandosi anche al supporto vocale ed ai controcanti. Ma il vero protagonista è, ovviamente, Scolnick che saltella per quanto possibile negli angusti spazi del palco, agita la sua chitarra su e giù e con essa la testa, perdendo il cappello e raccogliendolo da terra a più riprese. La setlist alterna pezzi westernati da saloon ad altri più rilassati facenti parte dell’ultimo album omonimo, che ha visto Langhorne Slim virare dal country degli esordi ad un più cantautorale folk psichedelico. Come Restless, o come la stupenda Colette. In entrambe le situazioni, la voce di Sean riesce a farla da padrona, acuta o sussurrata non sembra fare la differenza. In sala i più ballano danze dal sapore desertico e, quando anche il breve bis in programma è terminato, Langhorne Slim si concede a chi desidera scambiare due parole o semplicemente complimentarsi per il piacevolissimo intrattenimento offerto.
A cura di Emanuele Brunetto