“Ones & Sixes”, l’ultimo disco del longevo sodalizio musicale dei coniugi Alan Sparhawk e Mimi Parker, è stato per me una rivelazione, un colpo di fulmine da romanzo gotico. Ma ho una confessione da fare: sono una parvenu dello slowcore e ho conosciuto i Low solo di recente, grazie ai preziosi consigli di un amico. In mia discolpa posso dire che ho recuperato il tempo perduto, inglobando famelicamente la loro discografia in tempo record e acquistando al volo un biglietto per il loro concerto alla Roundhouse di Londra, storica venue nella quale nel corso degli anni sono passati tutti i mostri sacri del mondo della musica.
Dopo un’apertura in sordina dei Two Gallants, gruppo americano dalle tinte folk rock, alle 21:15 in punto entrano in scena i Low. Alan e Mimi, raggiunti dal bassista Steve Garrington, salgono sul palco quasi in punta di piedi, senza nemmeno provare a rompere il ghiaccio con il pubblico. Partono le note di Gentle ed è da subito chiaro che il nuovo disco dominerà questo live. E, infatti, seguono No Comprende e The Innocents, con il loro minaccioso clangore metallico e la grancassa a scandire il tempo. Le atmosfere di quest’album, lontane dalla dolce malinconia dei precedenti, sono austere e per certi versi glaciali. La sperimentazione elettronica rende ancora più evidente quella sacralità che fa da filo conduttore. D’altra parte i coniugi Sparhawk sono mormoni, temi spirituali e dimensioni evocative camminano spesso di pari passo nelle loro canzoni.
Plastic Cup e On My Own, tratte entrambe da “The Invisible Way”, restituiscono un’aura terrena alla malinconia della serata. Alle loro spalle, scorrono immagini che tolgono il fiato. Sono riprese di viaggi on the road, distese innevate, cieli grigi e costellazioni lontane e non posso che domandarmi quanto i paesaggi invernali del Minnesota abbiano influenzato la creazione dei loro dischi. Come diceva qualcuno, la loro musica è spesso una forma di meditazione e mi chiedo come potrebbe essere altrimenti, visto che due coniugi che suonano assieme da più di venti anni sono costretti a sviscerare le dinamiche del loro rapporto anche nelle canzoni che scrivono.
Malgrado la predominanza di pezzi nuovi – l’incantevole Lies, Spanish Translation, What Part Of Me e Landslide, che dal vivo ha un fascino sbalorditivo – non manca lo spazio per le vecchie composizioni come Monkey, Will The Night o Pissing, la cui intensità è difficile da spiegare a parole. L’incontro vocale dei coniugi Sparhawk sembra quasi una preghiera, o una supplica piena d’ira, a un dio silenzioso.
L’estensione vocale di Mimi Parker dal vivo dà i brividi. È piena, limpida e profonda –molto più che su disco, dove a mio parere perde gran parte della carica emotiva. E lei sembra un angelo caduto, con il suo vestito nero di pizzo e l’espressione seria che resta impassibile per tutta la durata del concerto. Sembra quasi che i Low non siano particolarmente felici di essere sul palco, data la totale assenza di contatto con il pubblico, ma appena prima dell’encore Alan ringrazia calorosamente tutti i presenti e dice che gli capita sempre di dimenticarsi di parlare perché troppo concentrato a suonare.
Dopo una brevissima pausa, i Low ci concedono altri due brani: l’attesissima e a dir poco meravigliosa Sunflower e When I Go Deaf. Poi si dileguano, così come sono arrivati, in punta di piedi, lasciando che la danza intima delle loro voci che si rincorrono mi accompagni fino a casa.
SETLIST: Gentle – No Comprende – The Innocents – Kid In The Corner – Plastic Cup – On My Own – No End – Point Of Disgust – Monkey – Lies – Into You – Pissing – Spanish Translation – DJ – Will The Night – Landslide – What Part Of Me —encore— Sunflower – When I Go Deaf