Milano ad Agosto è vuota, terribilmente vuota. La circonvallazione – intasata per 11 mesi all’anno – presenta scenari desertici degni di Pyongyang e tanto meglio non va con le attività commerciali. Per fortuna c’è chi ha capito che gli anni ‘60 sono passati da un pezzo e che vale la pena – Expo a parte – di provare a organizzare qualcosa di interessante in città anche durante questo periodo dell’anno. Per tutti questi motivi ero entusiasta di questa tappa italiana dei Manchester Orchestra, ma al contempo terrorizzato dall’idea che una band così importante oltreoceano per la prima data europea da 7 anni a questa parte potesse trovare un Magnolia vuoto, per poi proseguire un tour europeo che li vedrà impegnati in festival come Pukkelpop e Reading, più altre location già sold out.
Con mio grande sollievo, il Circolo dell’idroscalo presenta un colpo d’occhio più che dignitoso, al quale contribuiscono parecchi fan dei The Dear Hunter, band di Providence che apre la serata. Il gruppo in questione non va confuso con i più famosi Deerhunter (di Atlanta come i Manchester Orchestra, pensa un po’) e non dice nulla alle mie orecchie, più che altro per questione di gusti: le capacità tecniche ci sono, le melodie che graffiano mica tanto.
Ma stasera sono presente al Magnolia esclusivamente per i Manchester Orchestra, che entrano in scena 5 minuti prima dell’orario prestabilito. La creatura musicale di Andy Hull ha avuto una genesi davvero particolare. Se tanti gruppi che l’hanno ispirato sono britannici (il nome della band è tutto un programma), l’approccio musicale è totalmente americano, in tutto e per tutto: gli stili, le chitarre, le melodie, persino l’impostazione vocale. La formula che vede i Manchester Orchestra americani fuori e britannici dentro funziona comunque a meraviglia e contribuisce a mantenere fresca una proposta musicale relativamente giovane ma già con tanti album alle spalle.
I loro accordi sono semplici ma tiratissimi, pronti a esplodere in una violenza sonora tanto fragorosa quanto ragionata. Ascoltare per credere: se Top Notch mette subito le cose in chiaro, Shake It Out è il devastante grido di dolore di Hull che si perde in meravigliose divagazioni strumentali sul finire del brano. Dopo un timido approccio iniziale Andy inizia a scherzare col pubblico (tanti gli americani presenti: forse Milano dovrebbe comprendere appieno la sua vocazione internazionale) e continua ad incantare la platea: Every Stone e I’ve Got Friends virano verso il miglior college pop americano, mentre Simple Math (vero capolavoro della band) è una ballata epica ed emozionante che è stata spesso ignorata nei concerti dei Manchester Orchestra, quindi stasera è andata davvero bene.
Non mancano anche episodi puramente acustici come The Show Is Over, un brano folk così intimo che finisce per essere cantato a cappella. No, caro Andy, non ce l’hai proprio fatta, potevi pure entrare con una Lambretta e un parka addosso, ma la tua musica parla chiaro più di qualsiasi altra cosa: chiudi gli occhi e immagini città americane tutte uguali, noiose e prive di storia, dove la cosa migliore è chiudersi in garage e creare grande musica.
SETLIST: Pride – Top Notch – Shake It Out – Pale Black Eye – Deer – Every Stone – I’ve Got Friends – End Of The World – The Mansion – Everything To Nothing – Colly Strings – Simple Math – Cope – Turn Out The Lights – Where Have You Been