Tagliamo corto: la nostra presenza a Manifesto, bellissima tre giorni nostrana di casa al Monk, non è stata sicuramente fortunata. Perse per cause di forza maggiore le prime due serate, per causa di forza maggiore perdiamo, con rammarico, anche Sorge: nuovo progetto di Emidio Clementi e Marco Caldera costretto, per influenza, a rinviare la data.
Si comincia molto presto (alle 21.30 circa) con L I M, ovvero Sofia Gallotti dei Iori’s Eyes, che fa il suo ingresso sul palco in jeans, costume intero Speedo e giacca nera. Un look abbastanza audace. Come audace, d’altro canto, è la proposta. La giovanissima musicista di base a Milano presenta, davanti a pochi spettatori, il suo EP d’esordio “Comet”, colmo di nobilissimi rimandi e saturo di grandi prospettive. Moderat, Radiohead, Portishead: c’è dentro tutto, condito da una certa timidezza che la rende accostabile, quantomeno sul palco, a giovanissime cantautrici come Soak o Julian Baker. Certamente l’affluenza non la incoraggia, sebbene la performance sia ben congegnata col sapiente, continuo supporto di visual alle spalle. Riesce, se non altro e con merito, nell’intento d’imprimere grossa curiosità in chi l’ascolta, giustamente, affascinato. Come scriverebbe Claude Garcia in quel film di François Ozon: «À suivre».
I secondi a salire sul palco sono i romani Rodion. Che di fatti, col campo a favore, portano in dote una claque non indifferente. Per il trio è il release party di “Generator”, nuova fatica destinata a far parlare di sé vista anche – bene così – l’ottima resa dal vivo. Il registro, rispetto al live precedente, vira su toni decisamente più adrenalici. Complici pure i riferimenti in materia (area LCD Soundsystem/DFA con lunghe sessioni d’ascolto di Giorgio Moroder, condimenti IDM e principiale attenzione al dancefloor), Rodion e soci imbastiscono circa cinquanta minuti di ritmo, groove e divertimento, rappresentando senza dubbio il momento più squisitamente festaiolo del lotto. Basso elettrico e batteria garantiscono fisicità come in 16mm. Motore, ciak; azione.
Protagonista indiscusso della serata e capocomico d’antan, Alfio Antico battezza il suo ingresso nell’indie italiano con una perfomance da brividi. Accompagnato da Mario Conte e Lorenzo Urciullo (in arte Colapesce), il tamburellista siciliano conferma con forza quanto proposto con l’omonimo “Antico”, facendo l’unica cosa possibile per una corretta proiezione nel futuro. Lasciando incontrare presente e passato remoto. L’avvio col dittico Ntra li muntagni/Venditori ambulanti spezzerebbe il fiato anche a un profano, col suo muro del suono pulsante, vibrante di pelle e lingua primigenia: una confessione, un mantra. Ci voleva un sessantenne per regalare una proposta che a un ventenne non sarebbe mai saltata in mente: così nuova, così giusta. L’ex pastore originario di Lentini segna un impressionante punto di svolta nella propria carriera, regalando agli astanti uno show che Peter Gabriel non faticherebbe a portare al Womad, in giro per il mondo. Perché il dialetto siciliano non c’entra: c’entrano carne, sangue, terra. C’entra la vita. E Alfio l’ha vissuta.