C’è una legge non scritta nell’ascolto musicale: le canzoni che live vantano appeal e capacità di presa, sono quelle da cui si avranno maggiori garanzie nella dimensione disco. Anche “Cattive Abitudini” rispetta questa legge. Ricordo ancora, era l’aprile scorso e i Massimo Volume salirono sul palco dell’Init presentando per la prima volta i nuovi pezzi. Bene, Coney Island, La bellezza violata, Tra la sabbia dell’oceano, Invito al massacro fecero capire subito che sarebbero stati la nuova frontiera di Mimì e compagni. Pezzi nuovi e vecchi nello stesso momento perché conditi di tutto ciò che i Massimo Volume sono stati lungo gli anni ’90 (il parlato di Clementi, l’elettricità plumbea di Egle Sommacal, quell’impatto rock di Vittoria Burattini), ma anche freschi d’aria nuova, piglio nuovo, e un’onestà che farebbe rimpicciolire chiunque. Ecco che oggi, palco del Circolo degli Artisti, quelle canzoni sono diventate già un nuovo Dio. Perché un mese e mezzo di decantazione per i brani di “Cattive Abitudini” è stato più che sufficiente per farle penzolare dalle labbra del pubblico ed inciderle sui muri (veri o virtuali) di chi ha passato anni a cercare la verità su Alessandro o sul Viking Express, o ha vagato per le stazioni facendo galleggiare nello stomaco i languori della band. I Massimo Volume questo l’hanno capito perfettamente. Hanno capito che per ricominciare per davvero dovevano piantare nuove basi, aprire nuovi orizzonti e raccontare nuove storie. E’ quindi giusto che per il tour di “Cattive Abitudini”, loro, “Cattive Abitudini” lo abbiano eseguito tutto, dal primo all’ultimo pezzo, in ordine, come si dovrebbe ascoltare un disco (lo si fa ancora?), come ci si dovrebbe approcciare a un’opera, come va letta una raccolta di racconti di Hemingway. Dunque si parte con Robert Lowell e il monotono sublime e si continua con Coney Island e Le nostre ore contate. Si celebra il rito Massimo Volume com’è dovuto: con contemplazione, serietà, trasporto. Le parole di Mimì sono chiarissime, potenti e sembra davvero di sentirli i passi notturni di Leo in Litio o vedere Fausto con gli occhi spiritati tra gradini di metropolitana e insegne al neon. E poi davvero non era retorico Mimì quando, in un’intervista nel post-reunion, mi disse che quella attuale è la migliore formazione dei Massimo Volume di sempre. No, non era per nulla retorico: Vittoria è in formissima, perfetta nelle sue rullate, nel suo controllare lo strumento come fosse un’auto a cento all’ora, in come acceleri ma freni senza scossone alcuno ed è forte e tenera, è lavoro e tecnica. Egle è sempre più un interprete straordinario della sei corde, le sue parti di chitarra sono pistolettate e carezze, la sua osmosi con lo strumento non ha pari in Italia e, anche se non sorride molto, sul palco sembra assistere ad una continua dichiarazione d’amore tra lui e i suoi suoni. Poi c’è Stefano Pilia, l’ultimo arrivato, più giovane degli altri di almeno un lustro, ma calato nella parte perfettamente. Ecco, se nel passato furono la stanchezza, il troppo amore, l’usura dei rapporti a fare fuori i Massimo Volume, oggi sembra che questo non possa accadere anche perché i Massimo Volume amano suonare, si vede, amano anche il loro pubblico: quegli ex ragazzi là sotto cui dedicano il “bis dei sogni”: Il primo dio, Il tempo scorre lungo i bordi, Fuoco fatuo prima e per concludere Vedute dallo spazio / Ororo. In quest’ultima Mimì diceva: ”Tu, nella Kadett verde di Vittoria con tutta la mia collezione di dischi cacciata dietro aspetti me, che immergo le mani fino ai polsi nel fango per ripartire… diretti non so dove”. Qui, oggi, dicembre 2010, in un pomeriggio di pioggia e di sole.
SETLIST: Robert Lowell – Coney Island – Le nostre ore contate – Litio – Tra la sabbia dell’oceano – Avevi fretta di andartene – La bellezza violata – Invito al massacro – Mi piacerebbe ogni tanto averti qui – Fausto – Via Vasco De Gama – In un mondo dopo il mondo —encore 1— Il primo Dio – Il tempo scorre lungo i bordi – Fuoco Fatuo —encore 2— Vedute dallo spazio / Ororo
(“Le nostre ore contate” live @ Circolo Degli Artisti, Roma)
A cura di Riccardo Marra