Per chi scrive, si tratta della prima volta al Bataclan dopo l’attentato del Novembre 2015. A poco più di due anni da quel giorno, fa comunque un certo effetto trovarsi all’interno di quelle mura, violate, brutalmente, definitivamente. I controlli all’ingresso, come capita ovunque a Parigi, sono serrati – anche se manca, è il caso di dirlo, un passaggio al metal detector. L’occasione vede protagonista Nick Murphy, fu Chet Faker fino a non molto tempo fa: sensation globale di provenienza australiana, divenuto assai noto anche per merito dei fortunatissimi remix del suo repertorio curati dal connazionale Flume.
La sala è piena (ma nella capitale francese non è una notizia), il concerto inizia con una certa, tipica puntualità. Nick Murphy si accompagna con una band composta da quattro elementi, rivendicando immediatamente il suo ruolo di cantautore pop, nel tentativo evidente di scacciare l’erronea e ormai sepolta fama di dj/producer. E commettendo, immediatamente, l’errore più grave. Nonostante la voglia sia parecchia e l’impegno sul palco non manchi, a latitare sono proprio le canzoni, le strutture, le composizioni melodiche che si rincorrono con una soluzione di continuità più simile allo stampo che all’impronta. Benché alcuni arrangiamenti live diano certa manforte ai brani (come nel caso del trittico I’m Ready / 1998 / Weak Education, momento più divertente della serata) alla lunga salta fuori l’assenza di cui sopra, che apre le porte alla noia di una performance che non decolla, praticamente, mai più.
Non si capisce bene, a conti fatti, a cosa sia dovuto il successo del mediocre Faker, meteora in mezzo a mille altre meteore: troppo carente per affidarsi al suo (altalenante) talento melodico e a quanto pare troppo orgoglioso per accettare la via del dancefloor (magari in compagnia di un grande produttore). Resta, in definitiva, uno scheletro ibrido ed eccessivamente instabile per chiedere all’ascoltatore una seconda occasione. O per chiederla, quantomeno, a chi scrive.