Quando un concerto lascia parecchie sensazioni positive e viene voglia di rivedere lo stesso artista a breve, vuol dire che parecchie cose nel corso della serata hanno funzionato bene. Non accade spesso, e – a dirla tutta – a questo giro le aspettative per l’esibizione di Noel Gallagher con i suoi High Flying Birds non erano esattamente spasmodiche, vuoi per l’ultimo album che presenta qualche lacuna, vuoi per il suo innegabile inflazionamento in terra italica.
La setlist scelta per la serata – spiata online, identica per ogni data del tour – non entusiasmava neanche più di tanto. Eppure stiamo qui a parlarvi di una serata memorabile, figlia proprio delle scelte coraggiose in scaletta che ben si sono sposate con quella che è la migliore band che abbia mai accompagnato Gallagher durante la sua carriera solista. Durante alcuni brani la band arriva a toccare gli undici elementi: gli ex Oasis Gem Archer e Chris Sharrock rispettivamente alla chitarra e alla batteria, il sempre fido ex Zutons Russel Pritchard al basso, due tastieriste, un’imponente sezione fiati e – ultima ma non ultima – una straordinaria vocalist che ha un ruolo di primaria importanza durante alcuni brani.
L’inizio è fulminante, totalmente emancipato dalla discografia Oasis: se Fort Knox è una trascinante intro, il pop psichedelico di Holy Mountain fa ballare tutto il Fabrique, sold out da mesi. Alla canzone numero tre capiamo bene il taglio che vuole dare Gallagher al concerto: Keep On Reaching non è certo un pezzo dall’ascolto immediato, ben lontano dall’immediatezza brit strofa-ritornello: eppure funziona, come funzionano due altri brani non troppo radiofonici come Be Careful What You Wish For e soprattutto The Right Stuff, dove viene finalmente proposta quell’alternanza vocale che avevamo già consigliato durante la recensione dell’album “Chasing Yesterday” (se a cantare il pezzo sono Noel e la vocalist anziché Noel e Liam alla fine è un dettaglio).
C’è davvero tanta varietà nella serata: If I Had A Gun… e Dream On sono ormai due classici del Gallagher post Oasis, Little By Little fa esplodere di gioia il Fabrique, la semi-inedita Dead In The Water rapisce con la sua intimità. La palma di miglior brano della serata è però divisa tra due canzoni insospettabili: se She Taught Me How To Fly ha una melodia basilare ma strepitosa e dal vivo è una cavalcata trionfale, Go Let It Out – pur soffrendo dell’assenza di un frontman come il fratello Liam – è suonata in modo straordinario, come mai neanche gli Oasis hanno fatto in passato, con un clima corale di festa che contagia tutti i presenti.
Meriterebbe invece un turno di riposo il super classico Don’t Look Back In Anger, ormai eseguita in modo stanco e ripetitivo: da perfetti italiani medi, durante questa canzone seguiamo in diretta su smartphone l’ormai celebre rigore all’ultimo secondo del Real Madrid contro la Juventus: con noi un’altra ventina di spettatori dietro il nostro telefonino. Poco male per Gallagher: il suo Manchester City (immancabile la bandiera sull’amplificatore) era già eliminato dalla Champions League da 24 ore. Ma questa è un’altra storia.
SETLIST: Fort Knox – Holy Mountain – Keep On Reaching – It’s A Beautiful World – In The Heat Of The Moment – Riverman – Ballad Of The Mighty I – If I Had A Gun… – Dream On – Little By Little (Oasis cover) – The Importance Of Being Idle (Oasis cover) – Dead In The Water – Be Careful What You Wish For – She Taught Me How To Fly – Half The World Away (Oasis cover) – Wonderwall (Oasis cover) – AKA… What A Life! —ENCORE— The Right Stuff – Go Let It Out (Oasis cover) Don’t Look Back In Anger (Oasis cover) – All You Need Is Love (Beatles cover)