Pochi giorni dopo la pubblicazione del suo secondo album solista (e poco prima della diatriba con Fabio Fazio e le donne della movida milanese, paragonate a Mick Jagger), per Noel Gallagher e i suoi High Flying Birds è già tempo di primo live italiano al Fabrique di Milano, che si conferma allo stato attuale il club più gettonato per concerti in Italia.
La tranquillità di questo lembo di periferia milanese nel giro di pochi metri si trasforma in qualcosa di simile ad un girone dantesco: centinaia di fan in fila dalle prime ore del mattino, paninari, bancarelle di merchandising non autorizzato e gli immancabili bagarini con il loro mantra ipnotico “compro-vendo-compro-vendo”: decisamente troppo per un malcapitato pensionato del luogo che mi passa accanto con uno sguardo più atterrito che sorpreso.
Da quel che ho capito il Fabrique al suo interno non serve cibo, dunque causa panino con salamella consumato all’esterno del locale mi perdo buona parte dell’esibizione dei Black Rivers, che sulla carta meriterebbero parecchia attenzione: trattasi della nuova creatura musicale dei fratelli Williams, che insieme a Jimi Goodwin costituiscono (o forse costituivano) i Doves, ottima band protagonista della scena rock inglese dello scorso decennio. Purtroppo la poesia e la classe delle canzoni dei Doves sono un lontanissimo ricordo, e non basta una cover di Black And White Town per raddrizzare la situazione. Bocciati.
Alle 21 in punto sale sul palco Noel Gallagher con i suoi High Flying Birds, tra i quali spiccano l’ex Zutons Russel Pritchard al basso e Mikey Rowe, tastierista live degli Oasis nel Be Here Now Tour. Ovviamente la scena è tutta per Gallagher che, nonostante un raffreddore che lo perseguita dalla precedente data parigina, è protagonista di un concerto eccellente, a detta sua il migliore del tour fino a questo momento. Noel distribuisce sapientemente all’interno della setlist qualche canzone degli Oasis tra i suoi brani da solista e la mescolanza funziona.
Va subito detto che rispetto al tour precedente parecchi passi in avanti sono stati fatti, anche se c’è ancora qualcosa da migliorare per far diventare il live una perfetta macchina da guerra. Iniziare il concerto con la mediocre Do The Damage è ad esempio uno spreco bello e buono se pensiamo alla sconfinata discografia dell’artista inglese, che toppa principalmente nelle canzoni che si avvicinano maggiormente a quelle della sua ex band: dal vivo deludono due ottimi brani dell’ultimo album (Lock All The Doors e You Know We Can’t Go Back), che risentono della mancanza della voce e della presenza scenica del fratello Liam, nonché della possenza sonora che era propria della band di Manchester.
Sono però singoli dettagli all’interno di un contesto assolutamente positivo: il fatto che Noel vada fuori dai binari solo quando cerca di avvicinarsi troppo allo stile Oasis dimostra che la sua creatura musicale sta prendendo vigorosamente forza e vive ormai di luce propria, destinata a posticipare a tempo indeterminato una possibile reunion dei fratelli Gallagher. La chiave intima con la quale rilegge alcuni classici degli Oasis (Fade Away, Champagne Supernova, Don’t Look Back In Anger e soprattutto la finale The Masterplan) è un’ottima mossa per creare una perfetta simbiosi col pubblico, che si diverte e partecipa in modo corale a tutto il concerto.
A proposito di pubblico partecipe: a metà esibizione mi accorgo della presenza a pochi metri da me della signora Gallagher (bella ed elegante come non mai) che canta a squarciagola le canzoni del marito come una fan della prima ora. I due singoli finora estratti da “Chasing Yesterday” (In The Heat Of The Moment e The Ballad Of The Mighty I) dal vivo funzionano alla grande, così come Riverman, che si avvale della preziosa collaborazione di una sezione di fiati al seguito. Il concerto vive i momenti più alti nel suo finale: The Mexican, eseguita sorprendentemente in modalità hard rock (la stessa metodica verrà riutilizzata per Digsy’s Dinner) è una delle canzoni più piacevoli della serata, mentre If I Had A Gun (forse la migliore composizione in assoluto del Gallagher solista) ha finalmente una resa live degna della qualità del brano (cosa non accaduta nel precedente tour).
Giunge il momento del bis: Don’t Look Back In Anger è il momento ideale per gli accendini (pardon, per gli smartphone) e AKA… What A Life! ha il grande merito di ridare slancio al concerto prima del gran finale affidato a The Masterplan, per il delirio dei fan che ad Ottobre avevano mandato sold out il Fabrique dopo poche ore di prevendita. E che se ne vanno a casa soddisfatti, forse meno convinti dopo il live dell’urgenza di una reunion degli Oasis.
Il resto è storia recente: le polemiche sulla partecipazione a “Che tempo che fa” e la successiva serata vip milanese non fanno che confermare la capacità che ha Gallagher di vendersi bene, con uno humour arrogante e squisitamente british che fa breccia anche tra coloro che non stimano la sua musica. Sentite cosa ha detto in passato del fratello Liam: «Naturalmente voglio bene a Liam, ma non quanto amo gli spaghetti. Liam ha solo due problemi: tutto quello che dice e tutto quello che fa». A Fazio è andata quasi bene…
SETLIST: Shoot A Hole Into The Sun (Intro) – Do The Damage (Stranded On) – The Wrong Beach – Everybody’s On The Run – Fade Away (Oasis cover) – In The Heat Of The Moment – Lock All The Doors – Riverman – The Death Of You And Me – You Know We Can’t Go Back – Champagne Supernova (Oasis cover) – Ballad Of The Mighty I – Dream On – The Dying Of The Light – The Mexican – AKA… Broken Arrow – Digsy’s Dinner (Oasis cover) – If I Had A Gun… —encore— Don’t Look Back In Anger (Oasis cover) – AKA… What A Life! – The Masterplan (Oasis cover)