Una piovosa Napoli di fine Novembre accoglie per la prima volta nella loro carriera i teutonici Notwist. La locationè la Casa della Musica e, nonostante le condizioni metereologiche avverse e una prevendita non pienamente decollata, il pubblico piano piano riempie le file del tendone di Fuorigrotta. L’attesa e l’eccitazione per l’evento sono palpabili e ricordano i tempi in cui formazioni di culto dell’underground internazionale passavano per la città con vertiginosa frequenza, a differenza della penuria odierna, in cui tutto ciò è relegato a pochi eventi promossi e supportati da cultori e affezionati.
La band dei fratelli Acher con questa è alla quarta delle cinque date di questo mini-tour italiano, in cui ripropongono per gran parte “Messier Objects” – disco del 2015 che meglio rappresenta l’anima più sperimentale ed elettronica dei Notwist – corredandolo di un’esperienza visiva ad hoc. Accolti da applausi scroscianti, è Markus Acher a prendere la parola prima di iniziare il set: saluta il pubblico accorso per l’occasione presentando quella che sarà la ricca proposta musicale della serata, non lesinando battute di spirito su ipotetici bisda suonare.
La prima parte del concerto, come preannunciato, è tutta dedicata alla realizzazione live dei brani di “Messier Objects”in cui le note dei Notwist si intersecano agli elementi visivi proiettati su un telo bianco posto alle spalle della band. Varie immagini si susseguono: quattro persone su una piccola barca che lanciano una rete per la pesca a strascico, prospettive da una poppa di una barca, mani che battono incessantemente i tasti di una macchina da scrivere, linee che si intrecciano e sembrano formare pentagrammi e corde di chitarra.
Questo mentre fiumi di post rock misti a elettronica e a contaminazioni varie – in Object 11 sono evidenti sonorità tipiche del Centro e Sud America – vengono sciorinati senza soluzione di continuità tra un pezzo ed un altro. I tedeschi sono in forma e concentrati: lo si vede dall’assoluta precisione nelle esecuzioni dei brani, anche quando si scambiano postazioni durante gli stessi o quando alzano il tiro accelerando tempi e intensità in alcune code finali, tipo il free jazz veemente e ipnotico che chiude la prima sezione del concerto.
La seconda, invece, si dimostra più public-friendlycon una serie di pezzi tratti dai loro dischi più conosciuti: “The Devil, You + Me”, “Close To The Glass” e “Neon Golden”. Proprio da quest’ultimo suonano Pick Up The Phone, Pilot e Consequence alla loro maniera, ossia cercando di andare al di là del seminato dello spartito senza, però, alterarne il DNA. La coda di Pilot, ad esempio, diventa una mistione di suoni dub ed electro che ne esaltano l’anima danzereccia. Consequence con il suo ritornello (“Leave me paralyzed, love / Leave me hypnotized, love”) è la perfetta chiusura di due ore di liveintense ed estatiche che hanno abbacinato il pubblico napoletano.