Se è cosa ardua scegliere lo scaffale del negozio di dischi (un bel problema per quei cinque negozi rimasti nel mondo) in cui mettere “Romance”, album degli Oneida uscito nel Marzo del 2018 per l’etichetta Joyful Noise, figuriamoci come può essere di difficile lettura assistere a un loro live. Il primo passaggio della band newyorkese in Italia è avvenuto a un anno di distanza dalla pubblicazione del disco al Covo Club di Bologna, e per un’ora abbondante quei cinque soggetti, che di primo acchito sembrano dei padri di famiglia un po’ in là con gli anni a una grigliata, hanno tirato giù le mura del Casalone con un suono caotico senza limiti di spazio, tempo e volume, tanto da lasciare confusi e fisicamente spossati al termine di tutto.
Fin dall’inizio il clima è disteso tra pubblico e membri del gruppo, il “frontman” Papa Crazy si lascia andare a battute e scemenze varie tra un intermezzo e un altro, ma quando attaccano a suonare la faccenda si fa seria e si percepisce il peso della carriera degli Oneida, che più o meno da vent’anni fanno musicalmente quello che vogliono. Post rock sontuoso, synth elettronici, riff stoner à la Sleep, psichedelia, ossessioni kraut nell’andare avanti a fare lo stesso accordo per minuti interminabili, tutto mischiato con libertà, senza confine netto tra un pezzo e un altro.
La tracklist di “Romance” è praticamente suonata nella sua interezza, sia per tutto il pezzo nella sua magniloquenza e prolissità (All In Due Time, Good Lie, Reputation) che unito ad altri brani estratti dalla dozzina di full length pubblicati negli anni (l’inizio del concerto è un mash up di Snow Machine, da “Come On Everybody let’s Rock” del 2000, e Cedars). Sul finale c’è anche spazio per delle canzoni dritto-per-dritto, senza tante costruzioni e progressioni intorno, ovvero Cockfight, brano che chiude il disco, e una cover di Way Of The World dei Flipper, omaggio alla band punk rock californiana proprio nell’anno in cui si celebra il loro quarantesimo anno di attività.
È da questi brani più semplici che, per chi si approccia agli Oneida per la prima volta, si può trarre una descrizione efficace della band: è pur sempre un gruppo rock alla vecchia maniera, lo si vede dal fatto che si divertono come pazzi sul palco e non s’atteggiano a guru della sperimentazione, però anziché fare durare quello stacco di batteria un po’ complicato due secondi, lo portano avanti per otto minuti, come fosse una prova di forza rivolta all’ascoltatore e a loro stessi.
Così come c’è chi si allena per una maratona correndo sulla lunga distanza fino allo stremo delle forze, altri mettono alla prova il proprio temperamento andando a concerti strani come quello degli Oneida. In entrambi i casi, non è roba per tutti, ci vuole volontà e pazienza. Volete provare a vedere da che parte state? Mettetevi in cuffia Sheets Of Easter, da uno dei loro migliori album (“Each One Teach One” del 2002) e vedete che succede: se passate indenni i quattordici minuti di martellamento avete trovato una delle nuove band da recuperare a ogni costo dal vivo al prossimo passaggio in Italia, altrimenti fuggite a gambe levate, che questi son pazzi.