La prima volta non si scorda mai. E siamo sicuri sarà così per entrambe le parti, il pubblico e la band. Questa nuova e scoppiettante formazione composta da quattro elementi, provenienti da quattro gruppi completamente diversi tra loro (eccetto forse per Mastellotto ed Edwin) ha eliminato ogni dubbio sull’eccellenza del loro prodotto.
Ma spieghiamoci meglio, chi sono gli O.R.k.? Sono un gruppo, un supergruppo composto da Lorenzo Esposito Fornasari (Obake) a voce e tastiere, Carmelo Pipitone (Marta Sui Tubi) alla chitarra, Colin Edwin (Porcupine Tree) al basso e Pat Mastellotto (King Crimson) alla batteria. E nella cornice della Cittadella degli Artisti di Molfetta i quattro hanno presentato il loro primo scottante lavoro: “Inflamed Rides”, pubblicato lo scorso Ottobre. Provate a immaginare il risultato di tale fusione, fin troppo eterogenea.
Prima data del tour, sold out, con annessa replica. A me è toccato il primo spettacolo, quello delle 21.00. Il concerto, nota negativa, è durato poco, un’ora scarsa. E inoltre, essendo alla mia prima presenza alla Cittadella degli Artisti, ho scoperto, un po’ con dispiacere, di dover assistere al live da seduto. Niente di grave, perché l’esibizione si è rivelata talmente intensa da far scordare questo e qualunque altro possibile inconveniente.
Palco spoglio, niente effetti speciali o luci stroboscopiche, solo il necessario per fare il proprio lavoro. In più, tutta l’energia e la freschezza del loro day one. Carmelo Pipitone è davvero scatenato: impossibile per lui restare fermo, con i suoi movimenti ipnotizzanti. Una tecnica e gusto eccellenti, effetti annessi. Colin Edwin si è presentato con un basso fretless, il che è tutto dire, e con molta calma ha fatto il suo sommo dovere di bassista: sostenere insieme a Pat il ritmo della band. Quest’ultimo ci ha messo tutta la sua energia da Re Cremisi, scandendo il tempo dei brani in maniera eccelsa. Ultimo, ma non meno importante, un LEF spoglio, con i trucchi di magia allo scoperto: parati di fronte tutti i congegni che hanno dato quel sapore cupo ed elettronico tanto al disco quanto all’esibizione.
Una giustificazione da concedere loro per la breve durata del concerto è la scarsezza del materiale: a fine concerto avevano esaurito, o quasi, tutte la tracce del loro unico lavoro. I brani hanno un sapore oscuro, rabbioso, quasi violento, sono ricchi di riff e fraseggi indovinati, con la presenza di un bel groove in quasi tutta la scaletta, quel groove che ti fa scuotere il capo e maledire la location, nonostante abbia portato un’emozione ed un’intimità davvero uniche. Sebbene i protagonisti di quest’avventura siano tutti musicisti affermati, oggi per loro è stato un po’ un ritorno agli esordi: poca gente e pochi brani, gli inizi di qualunque musicista. Speriamo vivamente che non si tratti di un progetto da “una botta e via” ma che duri nel tempo.