Il camicione a quadri che indossa Black Francis quando, alle 21.20, sale sul palco dell’Alcatraz, la dice lunga sul mood della serata: è una festa tutta anni ’90 quest’unica data in Italia dei suoi Pixies. Lo dimostra il sold out raggiunto e lo dimostra un pubblico decisamente over 30 (e più vicino ai 40) nella sua quasi interezza. Ma lo dimostra, soprattutto, la setlist che mette in campo questa seminale formazione dell’indipendente americano, senza la quale molta della roba che s’ascolta oggi non avrebbe ragione d’esistere.
Già l’inizio è una dichiarazione d’intenti bella e buona: Caribou, Monkey Gone To Heaven e Velouria mettono in chiaro le cose e delucidano i presenti su che band si trovano davanti. Niente fronzoli, sono solo chitarre sparate altissime al soffitto dell’Alcatraz e in faccia alle prime file.
Francis è un bel po’ imbolsito, ma anche per Joey Santiago e David Lovering il tempo ha fatto il suo corso. Poco male, un concerto è un concerto, mica una gara di triathlon. E il muro di suono di tanti anni fa, loro riescono ancora a riproporlo in maniera pressoché fedele. Certo, non c’è Kim Deal e fa un certo effetto non vederla più lì, fianco a fianco coi compagni di mezza vita. Scherzi del destino, a sostituirla c’è un’altra Kim, la Shattuck, che svolge diligentemente il suo compito senza particolari rimostranze da parte del pubblico.
La scaletta del concerto, nonostante un’ammirevole lunghezza (ben 35 pezzi in due ore d’esibizione), corre veloce. Perché Francis e gli altri sono davvero di poche parole e perché lo stacco fra un brano e l’altro dura – quando presente – giusto il tempo di cambiare gli strumenti. Così anche i nuovi brani, i pochi inediti della band da un paio di decenni a questa parte, s’incastonano solo con qualche scompenso fra le gemme di una produzione fantastica: il nuovo singolo Bagboy anche dal vivo lascia perplessi in certi passaggi, mentre Indie Cindy, What Goes Boom e Andro Queen (quest’ultima proposta nell’encore) reggono meglio un confronto impari in partenza.
Ma sono solo un sorso d’acqua fra una portata principale e l’altra, fra Here Comes Your Man e Wave Of Mutilation, fra Bone Machine e Tame, fra Hey e uno strepitoso finale di set affidato a Gouge Away e Debaser. C’è qualche cover a condire il tutto (ottima la Big New Prinz dei The Fall) e c’è tanto sudore sotto al palco, con adolescenti che provano a sentirsi parte di un qualcosa d’importante che è fuggito via troppo presto e coloro i quali quel qualcosa l’hanno vissuto che, invece, non mostrano alcuna intenzione di mollare la presa.
Nessuno in sala crede che i Pixies possano porre la parola fine al loro concerto senza aver eseguito “quel” pezzo. Dunque, puntuale e attesissima, arriva la canonica conclusione con Where Is My Mind?. T’aspetti il “uuuuuh” di Kim Deal, seguito dallo “stop” di Francis: mancheranno entrambi e non crediamo affatto si tratti di una coincidenza. Il brano non è commentabile, nel senso che sarebbe superflua qualsiasi considerazione nei riguardi di un pezzo generazionale come pochi altri, che ogni volta ti lascia coi piedi all’aria e la testa per terra come la prima volta. I Pixies ancora oggi, con gli ovvi limiti dovuti a un’ispirazione non più verdissima, darebbero filo da torcere a qualsiasi new sensation dell’ultima ora. E tanto basta.
SETLIST: Caribou – Monkey Gone To Heaven – Velouria – Havalina – Vamos – Here Comes Your Man – Bagboy – River Euphrates – Crackity Jones – Something Against You – Distance Equals Rate Times Time – Wave Of Mutilation – Winterlong (cover Neil Young) – Cactus – Nimrod’s Son – Indie Cindy – Ed Is Dead – Brick Is Red – Break My Body – Bone Machine – What Goes Boom – I’ve Been Tired – Blue Eyed Hexe – Broken Face – Isla de Encanta – Tame – Hey – Big New Prinz (cover The Fall) – Head On (cover Jesus And Mary Chain) – Gouge Away – Debaser —encore— Motorway To Roswell – In Heaven (Lady In The Radiator Song) – Andro Queen – Where Is My Mind?