E’ da quando ha sciolto i Pixies che Francis Black è in cerca di se stesso. Due dozzine di dischi che setacciano il blues e il country. Capolavori? Nessuno. Poi Kim Deal. Lei ha indossato tante maschere quanti sono gli anni trascorsi dalla fine dei “folletti”: The Breeders, The Amps, Mrs. John Murphy, Tammy Ampersand, ognuna un modo per trovare Kim, ognuna un modo per fuggire da Kim. In tutti i ’90 Joy Santiago ha seguito Black, poi ha creato i The Martinis e più di recente i The Everybody. Dei riff di “Debaser” o di “Hey” nessuna traccia. David Lovering ha smesso di suonare, dedicandosi a una bizzarra carriera di prestigiatore (sì, mago). Poi è entrato in depressione a causa di problemi economici che lo hanno portato sul lastrico. Ecco cosa sono i Pixies senza i Pixies. Ecco che quella ragione sociale, per i quattro di Boston, oggi è una specie di isola deserta verso cui veleggiare per ritrovare le redini della propria vita (ok, chi vi scrive ha da poco finito di vedere Lost). La reunion per Black, Deal, Santiago, Lovering, è il momento per riappacificarsi col mondo, con i milioni di fan mollati a bocca aperta al momento dello scioglimento del ’93. E naturalmente anche il momento per battere cassa, come hanno francamente puntualizzato nella presentazione del tour del 2010). Pronti-su-via e i Pixies spaccano il minuto presentandosi sul palco alle 21:30, l’intro è del violento binomio Cecilia Ann/Rock Music. I Pixies a Ferrara sono una perfetta sintesi di ciò che hanno mostrato negli anni ’80 con il loro rock “2/3 rumore e 1/3 pop”: Francis Black che sguinzaglia la voce bastarda, Kim Deal che fa brillare ordigni di basso, Lovering che martella, sapiente, la sua batteria, Santiago che è sempre quel dannato impasto spanglish di chitarre elettriche. I pezzi che segnano la storia ci sono tutti: Bone Machine, Monkey Gone To Heaven, Hey, Velouria, Caribou e lo spettacolo raggiunge la sua rotondità perfetta tra le pietre estensi. I Pixies suonano senza il senso del dovere che spesso segna questi concerti “tributo”, anzi invecchiano bene canzoni che hanno vent’anni sulle spalle. Tutto perfetto no? No, perché proprio mentre il pubblico raggiunge l’estasi nella celebrazione nostalgica, il concerto s’interrompe per mezzora. Motivo? “Le prime file sono troppo vicine alle transenne sotto il palco e tutti devono retrocedere di un metro”. Eccesso di zelo o inutile pedanteria dell’organizzazione, non ha nessuna importanza nel racconto di questo concerto, ne ha invece nell’effetto che ha sulla band. Perché, al ritorno sul palco, Black e compagni, ci mettono un po’ a ricarburare, fiaccati dalla strana notte ferrarese, ora bollente, ora fresca, poi di nuovo tiepida. Il Castello nel frattempo sfiora un cielo a gomitoli rossi. Il pubblico non molla un centimetro rispetto all’entusiasmo della prima parte, forse cosciente che di “riunioni” così ce ne saranno sempre di meno, vuoi per i rapporti visibilmente freddini tra Black e Deal, vuoi perché, si sa, dopo qualche tempo, la memoria storica ha bisogno di nuova materia da masticare, di nuove suggestioni e appigli. Per il momento però due ore di concerto, una trentina di pezzi in scaletta e un encore fatto dell’immortale Where Is My Mind?, gialla della scenografia a sfere di tela sulla testa dei nostri, e dell’inconfondibile Here Comes Your Man, sono un buon bottino. Poi i fumi nella notte di Ferrara cominciano a venir su dal fossato del Castello. Un’atmosfera strana, da folletti, un addio forse o chissà. Qualche lanterna e il tintinnio dai locali rallentano il buio e la pienezza della notte.
SETLIST: Cecilia Ann – Rock Music – Bone Machine – Monkey Gone To Heaven – Gouge Away – Hey – Velouria – Dig For Fire – Allison – Debaser – Planet Of Sound – Alec Eiffel – Caribou – Winterlong (cover di Neil Young) – River Euphrates – Cactus – Is She Weird – Break My Body – The Sad Punk – Head On (cover dei Jesus And Mary Chain) – U-Mass – Wave Of Mutilation – Tame – Isla De Encanta – Broken Face – Nimrod’s Son – Vamos – Gigantic —encore— Where Is My Mind? – Here Comes Your Man
(“Where Is My Mind?” live @ Piazza Castello, Ferrara)
A cura di Riccardo Marra