Durante l’inverno a Calgary, in Canada, le temperature vanno un bel po’ sotto lo zero. Un bel po’ tanto eh, roba inimmaginabile alle nostre latitudini. E questa cosa non può non aver giocato un ruolo nella musica dei Preoccupations, che hanno radici proprio in quella parte del continente americano. Il loro post punk, fin da quando si chiamavano Viet Cong e licenziavano un primo omonimo album (ché poi ce ne sarebbe stato anche un secondo, una volta diventati Preoccupations), è sempre stato diverso rispetto a quello di altre formazioni accomunabili per genere e riferimenti artistici: più freddo, a tratti glaciale, sferzato da clangori industriali, pervaso da una certa costante nevrosi. In questo freddo fine Febbraio (un freddo che non ha ovviamente nulla a che vedere con quello di Calgary) i quattro sono arrivati ancora una volta al Circolo Magnolia di Milano, dove li avevamo già visti qualche anno fa, per la prima delle tre date italiane a supporto di “Arrangements”, il loro ultimo lavoro in studio pubblicato nel Settembre dello scorso anno.
E la setlist di questo loro tour s’inaugura proprio come il disco, ovvero con Fix Bayonets!, ma in realtà è tutto il nuovo album nella sua interezza a essere eseguito da Matt Flegel e i suoi. Lui sta lì al centro, imbraccia e abbraccia il suo basso che suona a volte carezzandolo ma più spesso picchiandolo, usando la propria voce come fosse un effetto, una costante distorsione che attanaglia le melodie sfuggenti della formazione canadese. Dal vivo questi Preoccupations targati 2023 acuiscono gli elementi più estremi della loro proposta, le chitarre subiscono una cura a tratti math che contribuisce in modo determinante alla resa deumanizzata della loro musica. E i synth, che su disco orientano i Preoccupations sui versanti più oscuri della new wave, sul palco si perdono quasi del tutto nello sferragliamento generale, producendo di riflesso un industrial grigio e annichilente.
Quando “Arrangements” finisce tocca a un’altra manciata di pezzi, su tutti quelli da “Viet Cong” (2015), con Continental Shelf, Silhouettes, Bunker Buster e soprattutto March Of Progress che chiude il concerto con la sua lunga e distorta coda strumentale, una scia sulla quale la band si dissolve come un bagliore nel cielo terso. Vedendoli all’opera − non solo adesso, ma anche negli anni passati, percependone anche dal vivo lo spessore, risulta difficile comprendere il perché non si gridi anche nel loro caso al miracolo così come accade fin troppo frequentemente con altre formazioni revivalistiche, di quelle tanto in hype negli ultimi anni. Perché, in quanto a impatto, i Preoccupations hanno ben poco da invidiare a quasi chiunque altro abbia affondato le proprie radici a cavallo tra Settanta e Ottanta.