Spesso è capitato di leggere osservazioni poco lusinghiere sulla scelta di Roger Waters di andare in tour a prescindere da una nuova uscita discografica, riproponendo all’infinito i classici immortali di un repertorio che mai verrà dimenticato. Ciò che va ben compreso, però, è che quelli di Waters non sono tour, non sono semplici concerti, sono vere e proprie rappresentazioni teatrali in cui i mali della Terra vengono ripetutamente presi a bastonate sui denti. Un memorandum periodico cui chiunque abbia amato o meno i Pink Floyd, chiunque provi simpatia o meno per Waters, chiunque sia d’accordo o meno con le sue posizioni, dovrebbe prima o poi assistere, non fosse altro che per l’inestimabile valore compositivo e quindi espressivo delle opere. Ed è per questo motivo che ogni suo passaggio da qualsiasi Paese diventa un evento imperdibile, nonostante tutti sappiano cosa li aspetterà una volta seduti al suo cospetto. Per di più, in questo 2018 c’è anche un lavoro nuovo di pacca da assaporare, quindi sold out multipli assicurati.
LA MUSICA − La setlist del “Us + Them Tour” sarà verosimilmente la stessa in ogni tappa, perché non si tratta solo di brani messi in sequenza ma di un percorso artistico che parte dalla storia, arriva al presente e ritorna nuovamente indietro nella carriera/discografia di uno degli ultimi geni viventi del rock. Così in mezzo alle meraviglie da “The Dark Side Of The Moon” trovano il loro posto una Welcome To The Machine da manuale, la necessaria Wish You Were Here e le ultime due parti di Another Brick In The Wall. La quota di brani estratti da “Is This The Life We Really Want?”, il nuovo album, è esigua ed è un vero peccato (le sole Déjà Vu, The Last Refugee, Picture That e Smell The Roses), ma la storia reclama stabilmente il suo ruolo all’interno delle performance di Waters, così che è facile rendersi conto di come sarebbe stato difficile togliere spazio a Time, Money o il commovente finale con Mother e Comfortably Numb per avere uno o due brani nuovi in più. Il set viene spezzato in due, la prima parte termina con Another Brick In The Wall e la seconda riprende con Dogs, con una ventina di minuti di intervallo annunciati dallo stesso Waters.
L’IMPIANTO SCENICO − La produzione è, come consuetudine per Waters, spettacolare, magari non all’altezza dei vecchi mastodontici tour ma comunque spettacolare. L’enorme schermo alle spalle della band, largo quanto l’intero palco, proietta dei visual davvero d’impatto, sempre a tema con il brano cui s’accompagnano, narrazione nella narrazione. Menzione speciale va a quelli proiettati durante Pigs, dedicati − si fa per dire − al nemico Donald Trump ma anche ad altri potenti tanto del presente quanto del passato. Ma non è tutto: il dirigibile del maiale (anche questo a tema Tycoon) e l’altro della luna si accaparrano le attenzioni del pubblico per il lento andata e ritorno che effettuano da una parte all’altra del Forum; poi gli altri schermi che a un certo punto calano dall’alto per l’intera profondità del palazzetto (la rappresentazione della Battersea Power Station è fantastica); infine i giochi di luce, con il prisma disegnato durante Brain Damage che vince a mani basse la palma di effetto più riuscito della serata.
LA BAND − Ok, non c’è David Gilmour a fare da perfetto contraltare, ormai da una vita, ma Waters sa dove andare a pescare e la sua band è quasi un supergruppo: c’è Jonathan Wilson che si prodiga bene alla chitarra ritmica e benissimo alle parti vocali che sono state di Gilmour; c’è Joey Waronker (in passato già con R.E.M. e Smashing Pumpkins) alla batteria; ci sono le Lucius (Jess Wolfe e Holly Laessig) alle controvoci e ai cori, che non avranno l’intensità di Clare Torry ma in The Great Gig In The Sky un brivido lungo la schiena riescono comunque a procurarlo; c’è soprattutto Dave Kilminster che, come nel caso di Wilson, non sarà certo un virtuoso della sei corde al pari di Gilmour ma fa egregiamente la sua in veste di chitarra solista, rendendo giustizia ad assoli che hanno fatto la storia del rock.
ROGER WATERS − A settantaquattro anni suonati l’ex bassista dei Pink Floyd ha dimostrato di poter ancora fare la differenza a livello compositivo, pubblicando lo scorso anno un album meraviglioso, così come ha dimostrato di essere ancora forte e presente anche dal vivo. Waters non si risparmia, vaga sul palco in cerca di un contatto visivo diretto con il pubblico, dice la sua senza peli sulla lingua riguardo la guerra, i rifugiati, etc. dall’alto della condizione di leggenda che gli appartiene e sa quando far prendere gli applausi agli artisti che lo accompagnano, facendo un passo indietro per un assolo di Kilminster, una strofa di Wilson o i ragazzini in tuta da Guantamano che entrano in scena per i cori di Another Brick In The Wall. Waters non ci mette sempre la voce, ma la sua presenza è comunque enorme, ingombrante, un dinosauro (e l’anagrafe qui non c’entra) i cui movimenti intimoriscono ma al contempo affascinano tremendamente.
Semplicemente la storia, quella con la S maiuscola.
SETLIST: Speak To Me – Breathe – One Of These Days – Time – Breathe (Reprise) – The Great Gig In The Sky – Welcome To The Machine – Déjà Vu – The Last Refugee – Picture That – Wish You Were Here – The Happiest Days Of Our Lives – Another Brick In The Wall Part 2 – Another Brick In The Wall Part 3 —PAUSA— Dogs – Pigs (Three Different Ones) – Money – Us And Them – Smell The Roses – Brain Damage – Eclipse —ENCORE— Mother – Comfortably Numb