Ogni generazione ha i suoi privilegi, ma certi privilegi durano più di una generazione. Quello di poter vedere The Rolling Stones dal vivo, ad esempio, ha attraversato gli anni con uno smalto invidiabile e duraturo, giunto ogni volta a un possibile capolinea e ogni volta – sino ad oggi – rinato come una fenice in volo da quella boccaccia rossa. Perderli, o averli persi, nel corso della loro lunghissima eterna carriera, è un peccato al quale restano certo poche occasioni di porre rimedio. E farlo è un imperativo categorico. Perché al netto dell’età che tragicamente avanza, stretta come un corsetto attorno ai capelli lunghi, la forma smagliante, il look da ventenni creato ad hoc per fermare le lancette e fissare i Nostri in uno spazio tempo del potere illimitato – al netto di ciò, dicevamo, questo è il più grande rock circus del pianeta, imbastito dalla più grande rock band in attività (ancora, finché dura).
Il “No Filter Tour” li consegna davanti ai 56.000 di Lucca così: esattamente senza filtro, un tantino acciaccati, un tantino fuori tempo, un tantino on the edge. Eppure sempre fantastici, ancora vivi sul palcoscenico, ancora in grado di tenere per il bavero un pubblico di dimensioni enormi e non contento – a quanto pare – dell’organizzazione dell’evento. Le danze si aprono col medesimo trittico delle tappe precedenti: Sympathy For The Devil / It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It) / Tumbling Dice. Il canovaccio è chiaro sin dall’inizio: Mick Jagger è il più tonico di tutti, indiavolato, carichissimo. Charlie Watts il più provato. Ronnie Wood e Keith Richards, in una specie di limbo là in mezzo. Ma veramente: chi se ne frega.
Messa da parte la dimenticabilissima versione italiana di As Tears Go By, non c’è prezzo che non sia giustificato dalle botte prese in mezzo con You Can’t Always Get What You Want e Paint It Black, né entusiasmo sanamente paragonabile al meraviglioso quintetto di clôture: Midnight Rambler (sfavillante), Street Fighting Man, Start Me Up, Brown Sugar e l’immancabile, immortale (I Can’t Get No) Satisfaction – partita sottotono e poi ripresa in grande stile. Coi fuochi d’artificio su Jumpin’ Jack Flash si chiude qualcosa di più simile a un pellegrinaggio che a un concerto: un atto di fede nei confronti di un’istituzione, un simbolo, praticamente un way of life.
Chiaro che questi signori abbiano quasi ottant’anni a testa. Chiaro che esista una differenza tangibile per chi il vide tre decadi or sono e chi li vede adesso. Chiaro che il fumo sia sempre di più per rendere l’arrosto pienamente succulento. Ma esiste davvero qualcuno che voglia – seriamente – criticarli, demolirli, deriderli? Non ci sono i benché minimi requisiti per farlo. Siamo oltre l’Olimpo, ma non ancora in Paradiso né all’Inferno. Godiamone tutti, finché possiamo, come possiamo.
SETLIST: Sympathy For The Devil – It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It) – Tumbling Dice – Just Your Fool (Buddy Johnson And His Orchestra cover) – Ride ‘Em On Down (Jimmy Reed cover) – Let’s Spend The Night Together – Con le mie lacrime (As Tears Go By) – You Can’t Always Get What You Want – Paint It Black – Honky Tonk Women – Happy – Slipping Away – Miss You – Midnight Rambler – Street Fighting Man – Start Me Up – Brown Sugar (I Can’t Get No) – Satisfaction —ENCORE— Gimme Shelter – Jumpin’ Jack Flash