Mancava da un po’ di tempo dal nostro Paese, quel meraviglioso incompiuto che è Ryan Adams. Reduce da un buon disco come “Prisoner”, le sensazioni per questa prima data romana erano più che positive: le scalette eseguite altrove eccellenti, lo stato di forma – pareva – ottimo. Buonissime premesse insomma, unite all’importante cornice dell’Auditorium Parco della Musica di Roma che, in quanto ad acustica nella Capitale, non è secondo a nessuno. E invece qualcosa è andato storto. Forse la scarsa affluenza – chissà – forse un’indigestione. Forse il caldo asfissiante, forse un litigio sconosciuto. Forse una brutta giornata per lui, tramutatasi poi in una brutta serata per gli spettatori.
L’opening è affidato alla statuaria Karen Elson, che dà velocemente spago al suo breve repertorio con le gradevolissime Call Your Name o Distant Shore, eseguite nel solco della tradizione alt-contry con un pelo d’insipidezza. Dopo un rapido cambio palco, accompagnato dalla nuova The Unknown Band, il cantautore di Jacksonville comincia in palla con tre discreti centri: Do You Still Love Me?, Gimme Something Good e Doomsday. Poi, pian piano, qualcosa s’incrina nettamente. Rispetto alle uscite precedenti nel mondo, mancano immediatamente quei vecchi, sempre graditissimi successi che Adams solitamente concede con matematica regolarità nel corso della performance. Manca la brillantezza, manca completamente il dialogo con il pubblico, manca – in poche parole – la voglia di rendere memorabile l’evento.
Molto spesso l’impressione è di trovarsi in sala prove con Ryan, estremamente poco indulgente e quasi autistico nel suo evitare il contatto coi presenti. Ci si dimentica di questo spiacevole dubbio, sfortunatamente per un attimo solo, con la finissima Let It Ride prima e la splendida Two poi, ma si è lontani da un anche apparente appagamento, inclusione, pienezza. Non bastano neanche, sinceramente, i due controllatissimi fuochi d’artificio conclusivi: Peaceful Valley e Shakedown On 9th Street, ormai viziati dall’atteggiamento generale.
Preso commiato con l’unica parola della serata (“Thanks”), Ryan Adams si congeda senza encore, senza animo, senza cuore. Senza sbagliare mezza nota e con un impianto tecnico superlativo, conferma live lo stesso destino della sua discografia, basculante tra prelibatezze magnifiche, obbrobri e riempitivi. Dicevamo, all’inizio: un meraviglioso (stanotte antipatico) incompiuto.
SETLIST: Do You Still Love Me? – Gimme Something Good – Doomsday – Anything I Say To You Now – Stay With Me – Blue Light – Let It Ride (Ryan Adams & The Cardinals cover) – Juli – When The Summer Ends – Am I Safe – Two – I Just Might – Prisoner – When The Stars Go Blue – Do I Wait – I See Monsters – Breakdown – We Disappear – To Be Without You – Haunted House – Peaceful Valley (Ryan Adams & The Cardinals cover) – Shakedown On 9th Street