Umberto Palazzo e il Santo Niente (secondo la prima dicitura) ritornano a Roma, all’Init, a distanza di tre anni dal loro ultimo show capitolino. La serata non si avvicina al pienone, vuoi per la concomitanza con la prevedibile vittoria del Barcellona, vuoi perché lo zoccolo duro dei fan ha smarrito qualche iscritto. Ho ascoltato la prima volta dal vivo i Santo Niente sei anni fa, senza conoscerli, in un live abruzzese in cui dividevano il palco con Godano e soci: mi piacquero. Stasera il concerto si apre con l’opening act del gruppo Sprial 69, che cedono poi il palco al Santo Niente. Il live all’Init inizia quasi in acustico, con il solo Palazzo che si esibisce in Nuove cicatrici da “Il fiore dell’agave”. Subentrano a poco a poco una seconda chitarra, un basso e una batteria, sul palco c’è energia, c’è il sudore, ci sono distorsioni che esaltano il noise di pezzi storici tipo Cuore di puttana o È aria (comprese nei primi due dischi “La vita è facile” e “’sei na ru mo’no wa na ‘i”). Riesce ipnotica e alienante Storia breve, dove il narrato del frontman viene interrotto da un riff in pieno stile crossover, sul quale è difficile trattenere il movimento di teste e di capelli lunghi tra il pubblico. In scaletta c’è posto per altri pezzi tratti da quello che è, a mio avviso, il loro album migliore, il già citato “Il fiore dell’agave”, come Occhiali scuri al mattino, Prima della caduta e anche Luna viola, il pezzo che aspettavo di più, e forse non ero l’unico, essendo stato suonato proprio prima della pausa. A proposito di Luna viola, non posso esimermi dal ricordare, en passant, che il videoclip della canzone L’impossibile del Biagio nazionale (sarebbe Antonacci) è in sostanza un plagio di quello del pezzo in questione dei Santo Niente (lo si può verificare con facilità sul Tubo). Devo aggiungere e segnalare anche la presenza di un inedito molto interessante, che suppongo sia Cristo nel cemento (a meno che io non abbia preso i proverbiali fischi per gli altrettanto proverbiali fiaschi). Dopo la pausa c’è spazio per due classici del repertorio, la ballata Angelo nero e la tribale industrial L’aborigeno. In sala vorrebbero ancora qualche altro pezzo, ma in prima fila vedo la ragazza di Umberto Palazzo comunicare a terzi che il concerto finisce lì. Ce ne andiamo aspettando, a questo punto, l’uscita di quello che i Santo Niente hanno definito il loro “quarto, difficilissimo album”.
A cura di Gian Michele Pedicini