Come prima, più di prima. Sembra questo il motto della serata che vede protagonisti gli Shellac di Steve Albini ed i catanesi Uzeda. Ad un anno esatto – un paio di giorni prima in realtà – dalla medesima esibizione del 2006, il palco dei Mercati Generali di Catania ospita nuovamente questi due monumenti del rock indipendente. Per gli Uzeda di Giovanna Cacciola l’anno trascorso è stato di quelli “importanti”, con un ritorno discografico (“Stella”, 2006) che a distanza di otto anni dall’album precedente (“Different Section Wires”, 1998) sa tanto di rinascita artistica. E così, nella setlist approntata per la tappa “casalinga”, a farla da padrone sono le tracce estratte dall’ultimo lavoro in studio, eseguito quasi per intero. L’avvio al fulmicotone affidato a Wailing (opener così come nell’album) ed un must come Stomp sono i momenti “top” di una performance passionale e sanguigna, costante questa per la formazione siciliana. Steve Albini assiste, appollaiato sulle scale che portano ai camerini, alle sfuriate degli amici italiani, con un occhio di riguardo per le schitarrate rumoristiche che Agostino Tilotta non perde occasione di profondere a volontà. Qualche problema tecnico (la rottura di una pelle della batteria, spiegherà al pubblico il batterista Davide Oliveri) pone la parola fine con lieve anticipo – rispetto alle previsioni – al fragore degli Uzeda, e dilata di non poco i tempi d’attesa prima che Albini e soci facciano la loro comparsa on stage. Quando questo accade, l’atmosfera che si respira all’interno del locale è elettrica. Anche per gli Shellac è tempo di novità, il nuovo album “Excellent Italian Greyhound” è prossimo all’uscita, ed il breve tour italiano (cinque date) intrapreso dai tre funge da perfetta presentazione dello stesso. Così, in mezzo ad una manciata di nuove produzioni, tutte in perfetto stile “albiniano” salvo qualche pezzo più “annacquato” che in passato, a spiccare sono sempre i “pezzi col botto” della band, con una My Black Ass posta ad inizio esibizione che contribuisce non poco a “scaldare gli animi” al di qua delle transenne. Tilotta ricambia le attenzioni di Albini non perdendosi un solo minuto della scrosciante prestazione dei tre americani. Le pelli di cui sopra continuano, però, a non dare pace al drummer Todd Trainer, e così nelle brevi – ed obbligate – interruzioni è il bassista Bob Weston ad intrattenere il pubblico inscenando botta e risposta tra un “fuck” e l’altro. Quando arriva il momento dei saluti le orecchie dei presenti fischiano ancora, Albini e Weston smontano rapidamente la propria strumentazione senza soffermarsi più di tanto coi ragazzi che si accalcano sotto al palco, mentre Trainer si “concede” di più firmando qualche autografo. Forse è pretendere troppo, ma la speranza di assistere ancora una volta, fra 365 giorni, ad un evento del genere è quantomeno legittima.
A cura di Emanuele Brunetto