Ci sono concerti che non sono concerti. Sono riti sciamanici, messe pagane in cui ogni partecipante interpreta il proprio ruolo con compostezza, sempre lo stesso nonostante il trascorrere degli anni. Gli Slint fanno parte di quella ristrettissima cerchia di band di culto che non hanno sputtanato la propria immagine in alcun modo, mantenendola intatta e cristallina da fine anni ’80 ad oggi. La separazione – in realtà mai chiara – prima, le sporadiche reunion poi, sempre all’insegna di quei due dischi, “Tweez” e soprattutto “Spiderland”, che hanno segnato in modo indelebile la storia del rock.
Questo 2014 era evidentemente l’anno giusto per tornare ancora una volta a calcare le scene, con la pubblicazione della lussuosa ristampa di “Spiderland” e col tour in giro fra Stati Uniti ed Europa. Per nostra fortuna anche l’Italia ha potuto godere di una loro data (sette anni dopo l’ultima volta), al Bloom di Mezzago (MB), location già di suo mitologica con quegli ‘80/’90 fatti di Nirvana e altri nomi illustri, ancor più per una serata come quella appannaggio degli Slint.
L’attesa per i ragazzi di Louisville è ingannata da un’atroce selezione musicale (musicale?!) che fa gridare ripetutamente all’eutanasia da parte del pubblico in sala. E, soprattutto, dall’esibizione dei Disappears, formazione di Chicago capitanata dall’ex 90 Day Men Brian Case che si fa apprezzare e non poco, per una volta tanto un’apertura affidata a una band in linea coi protagonisti della serata.
Ancora un’altra ventina di minuti di fracassamento di timpani da parte dei simpaticissimi selezionatori del locale e poi è la volta degli Slint. Tutto sempre uguale si diceva: Brian McMahan sempre lì all’estrema destra del palco, non-protagonista per eccellenza; David Pajo sempre dalla parte opposta, solitario e distante dal resto della band. E anche la setlist è sempre quella, “Spiderland” nella sua interezza e poi qualcos’altro, un’impercettibile variazione nell’ordine degli addendi che non cambia ovviamente il risultato finale.
La strumentale For Dinner… riscalda gli animi, poi via con Breadcrumb Trail e Nosferatu Man, riconoscibili al primo nano secondo, immortali e pietrificate come a non essersi mai mossi dal 1991. McMahan abbozza un «like this place» che spiazza un pubblico che ha imparato a convivere con la sua pressoché totale assenza di esternazioni sul palco, parole che rimarranno infatti le uniche per tutta la serata. Neanche a dirlo Washer è il consueto pugno allo stomaco, nonostante ognuno sappia perfettamente a cosa si stia andando incontro e conosca le parole ora sussurrate ora urlate da McMahan: 3/4 di sala ha gli occhi chiusi in estatica adorazione per il brano più intenso di una produzione scarna ma profondissima. Poi arriva il Capitano ed è il gran finale, con lo straziante urlo «I miss you» che chiude l’ora bollata di concerto e finisce per risuonare nelle orecchie un po’ come un mantra: perché sì, ci mancano già di nuovo gli Slint.
SETLIST: For Dinner… – Breadcrumb Trail – Nosferatu Man – Darlene – Glenn – Washer – Don, Aman – Ron – Good Morning, Captain