Trasformatosi lo scorso anno da MiOdi in Solo Macello, il festival stoner/sludge/musica-spacca-timpani più intrigante d’Italia presenta quest’anno un bill meno affascinante dell’edizione di 12 mesi fa, dove a infiammare il palco c’era gentaglia del calibro di Napalm Death, Unsane, Big Business, Mombu, Bologna Violenta, Gandhi’s Gunn. Quest’anno non siamo agli stessi livelli, ma ci manca comunque pochissimo. Di certo l’attesa famelica è per la portata principale della carta, i Red Fang, ormai in netta ascesa da 3 anni a questa parte nell’indice di gradimento tra i nerd-rocker e prossimi al ritorno discografico con il loro terzo disco.
Solfa introduttiva a parte, arrivo che già una porzione di cartellone è stata smaltita, perdendo così alcuni dei nomi che tenevo d’occhio, ovvero gli Zolle, i Nero di Marte e i Black Moth. Poco male, li ribeccherò altrove in quel di Milano prima o poi, ne sono certo.
Do una bella ripulita alle orecchie con l’indice di entrambe le mani e mi appropinquo di fronte al Messicano Stage. Di palchi ce ne sono tre: uno ad altezza uomo, il Gabbia Stage davanti il tendone con i banchetti di vinili, maglie, cd e tutte quelle faccende che riducono al lastrico gli appassionati dei feshtivàlle. Poi il Messicano Stage, ribalta delle semi-star – che appaiono anche le più agguerrite, va detto. E il consueto Main Stage per le tutte-star-dalla-testa-ai-piedi.
Dicevo del mio trovarmi di fronte il Messicano Stage dove ci stanno già su i Fuzz Orchestra, autori di un hard-stoner con su campionamenti del cinema italiano anni 60 e 70. State ridendo, lo so, perché a dirla così sembra li stia liquidando con quattro paroline di comodo. Ma provate voi a dare un nome a un progetto estremamente interessante e che sfugge (per fortuna) alle etichette. Per capirli bisogna affrontarli di petto perché prendono davvero allo stomaco e inglobano diversi gerghi musicali: si sente quel pizzico di esoterismo dei Black Widow e, inevitabilmente, dei Black Sabbath con la diavoletto di Luca Ciffo; svirgolano verso una psichedelia escoriante e caotica con i synth di Fabio Ferrario; hanno quel tono punk e metalloide con il drumming secco di Paolo Mongardi (che si renderà protagonista più tardi con gli Zeus!). Ma sto continuando a non dire nulla e me ne dolgo: ascoltate quindi i loro tre album, con occhio di riguardo verso l’ultimo “Morire per la patria”, finora il loro picco creativo. E se capitano dalle vostre parti, andate a farvi bruciare la faccia dal vivo.
A bilanciare l’entusiasmo per i Fuzz Orchestra ci pensano i Wrust sul Main Stage, l’attrazione esotica di questo Solo Macello 2013. Quartetto proveniente dal Botswana, la band si dà da fare con un brutal death metal senza arte, né parte. La stessa roba l’ho sentita suonare meglio e con più ferocia dai Suffocation, dai Gorguts, dai Cryptopsy. Brutalità coi secchielli, perizia tecnica su livelli consoni al genere, apprezzo l’impegno ma oltre alla provenienza geografica davvero non capisco quali altri meriti abbiano. La loro performance è stata ripresa per essere inclusa nel documentario “March Of The Gods” incentrato sulla scena metallara del Botswana, che tutti quanti moriamo dalla voglia di scoprire. Ora, non voglio peccare di malizia, ma temo che siano stati chiamati per il mero fascino di avere sul palco quattro metallari neri africani. E mi prendo volentieri le accuse di razzismo, qualora qualcuno mi puntasse il dito contro, ne capirei il movente. Roland Barthes di certo ne avrebbe ricavato un’interessante riflessione semiologica da questa esperienza, ma siccome non sono Roland Barthes e di studiare i Wrust non me ne frega nulla, mi allontano relegandoli a caotico sottofondo per la lunga coda per la pizza che m’attende.
A pancia una volta piena, coi Wrust che hanno terminato il loro set sul Main Stage e l’attenzione del pubblico che s’è spostata di nuovo al Messicano Stage, raggiungo gli In Zaire per i loro ultimi 10 minuti. Non posso dire granché anche se mi becco tutta Moon (seconda traccia del loro recente “White Sun Black Sun”), viaggioso kraut incalzante che però non mi prende del tutto. Mi dispiaccio perché volevo testare con mano la foggia di un progetto che su disco mi ha molto intrigato. Li attendo al prossimo giro.
Ci si sposta a destra e manca, ora si va di nuovo verso il Main Stage dove la chitarra di William Mecum ruggisce e la batteria di Rob Oswald pesta di brutto. Ci sono i Karma To Burn. Anche in due, senza il basso di Rich Mullins, la storica band di Morgantown tiene botta. Performance pregna d’energia che non lascia spazio alla noia, eccezion fatta per una certa ridondanza negli spartiti del gruppo, pecca che li accompagna però da sempre. Insomma, chi li conosce non resta deluso. Riffoni duri e squadrati, andature sostenute alternate ad altre più slabbrate che inducono a un ondeggio delle teste, i Karma To Burn tirano fuori alcuni dei pezzi forti del repertorio, come il bluesone di Fifty-four, le legnate di Thirty e Fourty-seven (sì, i titoli sono tutti numeri a casaccio). Non tradiscono le attese.
Ennesima transumanza verso il Messicano Stage, tocca agli Zeus!. Di nuovo sul palco il batterista Paolo Mongardi, stavolta affiancato al basso da Luca Cavina dei Calibro 35. Li avevo già visti a febbraio al Leoncavallo e mi avevano distrutto il cranio con una violenza pari a pochi altri. Questo non è solo rumore come un ascoltatore distratto potrebbe desumere. E’ follia rigorosamente ordinata in una sequenza al cardiopalma di colpi di cassa e rullante e diagrammi di basso. Dal math-grind al noise-core si passa in un microsecondo a 4/4 secchissimi che poi ripartono all’impazzata verso il punk-hardcore, i brani si sviluppano rapidamente e non lasciano respiro. Mongardi è un autentico istrione, strepitoso tecnicamente con i suoi ritmi sconquassanti e con una presenza scenica da vero protagonista, Cavina chiava il basso con funambolici su-e-giù, estraendo anche riff forgiati nelle infernali fucine del thrash metal più puro. Oh, senza troppi cazzi, gli Zeus! sono innegabilmente la band migliore di questo Solo Macello 2013. A mio modesto parere.
Piccola nota sulla fauna SoloMacellesca: come sempre accade in questi eventi, è in atto la consueta gara a chi ha la maglietta più figa, la barba più lunga, a chi puzza più il culo. Io comunque non mi tiro indietro e partecipo volentieri al tacito contest, mi difendo decentemente essendo in tinta con lo spirito del feshtivàlle, anche se non esalo fetori letali dalle mie sacre chiappe.
Chiusa la nota di folklore, eccomi qui davanti al Main Stage per la Main Band di questo Solo Macello 2013. I Red Fang si presentano con la solita aria da cazzoni che li ha resi simpatici agli occhi degli affezionati di queste sonorità, complici anche dei video davvero esilaranti che soffiano un po’ via dallo sludge-stoner quell’aria spesso troppo seriosa e boriosa che gli appartiene nel DNA. Insomma, salgono sul palco e fanno finta di presentarsi per la prima volta con strette di mano e presentazioni rciproche. Nulla di che, sia chiaro, ma è un siparietto che questo lascia intendere come i quattro non siano persone che si prendono troppo sul serio. Appena partono distorsioni e colpi di batteria però i Red Fang fanno sul serio. Il set è coinvolgente e pesca a piene mani da entrambi i due album fin qui pubblicati: dall’omonimo del 2009 sparano fuori Night Destroyer, Bird On Fire e sul finire Humans Remain Human Remains, che spezza i ritmi altissimi. Dall’ormai celeberrimo “Murder The Mountains” ovviamente i brani che i fan attendono con ansia come Malverde, Wires, Number Thirten, Into The Eye (che puzza di Melvins da qui alla Luna) Dirt Wizard e l’immancabie Hank Is Dead. I Red Fang si divertono come dei ragazzini nonostante non lo siano affatto ed è proprio questo entusiasmo che si trasmette al pubblico e che li fa apprezzare ancora di più. La chiusura è affidata, neanche a dirlo, al singolone Prehistoric Dog, che appena parte materializza degli spiriti sparsi per la folla a dare pizzicotti sul culo a tutti quanti. Bella roba.
Quel che non va bene, e non è mica colpa dei Red Fang, sono i volumi troppo bassi, come spesso accade al Magnolia durante i concerti all’aperto. Parte del tiro della band si perde nell’arietta fresca di Segrate, minandone così il coefficiente d’energia. La cosa mi preoccupa un po’, dato che mercoledì 4 luglio sarà la volta dei Neurosis, che attendo come la venuta del Messia. Anzi no, quella proprio no. Viva Satana.