Sono le 22 e qualche minuto, quando i Sophia salgono sul palco. In precedenza aveva suonato Modì, il cantautore romano, on stage dalle 21. Insomma, il Circolo Degli Artisti ha deciso di sincronizzarsi con i tempi europei, basta con i concerti che iniziano a tarda sera. Come detto, ecco i Sophia. Robin Proper-Sheppard sfoggia una capigliatura abbondante e una camicia nera, la stessa che vestono tutti i componenti della band (quartetto d’archi, tastierista, chitarra elettrica, basso e batteria) impegnati a mettere a fuoco le sue canzoni. Perché i Sophia sono Robin, nessuno mette in discussione la sua leadership. E sul palco è questo ciò che balza agli occhi: Sheppard è un caffè bollente. Ogni tanto lo si può “correggere” di batteria alcolica, o magari “macchiarlo” del quartetto d’archi alle sue spalle o “restringerlo” con l’elettricità di basso e chitarra, o ancora “raffreddarlo” con poco pianoforte. Ma è comunque lui a contenere il succo del discorso, lui con la sua inseparabile acustica in braccio. Uno spettacolo la “messa in scena” delle canzoni dei Sophia: pulizia del suono, compattezza del collettivo, bellezza delle armonie perfette e poi quella voce così efficace, mai spremuta, mai forzata, sempre estremamente robusta di Robin. “Mi piace come i romani cantano le mie canzoni” – a un certo punto dice. “Nel ’97 ho suonato a Roma, in un locale piccolo, scuro, e mi distraevo, perché il pubblico cantava i Sophia benissimo”. Robin tocca un tema fondamentale dei suoi show. Perché le sue canzoni, perlopiù ballate melanconiche, bozzetti acustici, dolcissimi tremori, fieno di tristezza e languore; sono, per chi ascolta, un’irripetibile iniezione di benessere. Da strillare, da buttare fuori con tutto il cuore. Splendida infelicità? Sì. E’ così che vedi gente, nelle prime file, stracontenta di cantare: “If only I could believe that tomorrow / When I wake from my sleep / you’ll still be with me” (“If Only”) o ancora “Are you waiting / are you waiting for the end?” (“I Left You”). In rassegna tutto il meglio della collezione Sophia dei dischi “People Are Like Seasons”, “Technology Won’t Save Us” e dell’ultimissimo “There Are No Goodbyes” dal quale Sheppard tira fuori le perle Something, Obvious, Storm Clouds e Heartache. Tra i pezzi migliori la tagliente Desert Song No.2 (eccezionale la coda post-rock) e Directionless da “The Infinite Circle” del ’98.“Sto perdendo la direzione” canta Robin alla fine del concerto. Direzione? E chi ha mai detto che se ne deve per forza seguire una?
(“Heartache” live @ Circolo Degli Artisti, Roma)
A cura di Riccardo Marra