È strano vedere entrare in uno dei teatri più blasonati di Broadway gente con t-shirt e pantaloncini da combattimento, mescolata come se nulla fosse a gentleman di mezza età accompagnati dalle loro signore. Eppure, questa strana transumanza si verifica ormai tutti i giorni da Ottobre, da quando Bruce Springsteen ha annunciato una tournée al Walter Kerr Theatre di Broadway di Broadway, solo per i fortunati estratti a sorte che hanno potuto acquistare i biglietti per questo show, che non è un concerto, né una commedia o un dramma.
Non è facile da spiegare, perché in fondo che piaccia o no è l’ennesima intuizione azzeccata di un artista che non ha (quasi) mai fatto un passo falso. È un live che avvicina incredibilmente Springsteen al suo pubblico davanti al quale si seziona e si divide in capitoli, come sotto una lente di ingrandimento. I suoi ricordi da bambino (“Dopo aver suonato un paio di volte la chitarra che volevo disperatamente, mi sono accorto quanto fosse difficile e noioso imparare a suonare, soprattutto dov’era quel dannato twist and shout?”), suo padre (“È stato il mio eroe e la mia più grande sconfitta, ero troppo giovane e stupido per capire cosa fosse la depressione”), sua madre (“Sprigiona luce e felicità”), la libertà (“Il senso di indipendenza reale che ho provato quando i miei si sono trasferiti in California si è spento miseramente quando ho capito che nessuno mi avrebbe preparato la cena”), l’inizio della sua carriera (“I viaggi in furgone fino alla California con il resto della band, il passaggio da uno Stato a un altro, i colori, gli odori, il cane di Danny Federici dimenticato durante la sosta e ritrovato ore dopo”), dar vita alla E Street Band, il dolore per la morte di Clarence Clemmons, l’amore, sua moglie.
Ci si accorge che “Springsteen on Broadway” non si distacca dai rituali da stadio, quando dentro il teatro riecheggia quel “BRUUUUUUCE” che sul momento sa di tutto meno che di ovazione. Non è differente l’impatto e la potenza della sua performance dal vivo, che non si lascia intimidire minimamente dalle dimensioni ridotte del Walter Kerr Theatre. Una capacità descrittiva ipnotica e in perfetta corrispondenza con i suoi testi, voce e chitarra spesso in assenza di amplificazione rendono il live reale, emotivo.
Alla fine, ladies and gentlemen si resta talmente tanto travolti dalla carica comunicativa di quest’uomo, alto si è no 170 cm, che gli si perdona tutto, di non aver mai lavorato un solo giorno in fabbrica, di non essersi mai arruolato, ma di aver cantato in modo credibile di lavoratori, migranti, reietti e reduci di guerra. D’altronde, neanche a lui interessa nascondere l’inganno: “È questa la mia magia e, come tutte le migliori magie, inizia con un trucco. Abracadabra…”.
SETLIST: Growin’ Up – My Hometown – My Father’s House – The Wish – Thunder Road – The Promised Land – Born In The U.S.A. – Tenth Avenue Freeze Out – Tougher Than The Rest – Brilliant Disguise – Long Walk Home – The Rising – Dancing In The Dark – Land Of Hope And Dreams – Born To Run