Per una serie di congiunzioni astrali non troppo misteriose, Mark Kozelek sta vivendo oggi, A.D. 2015, il momento di massima notorietà acquisita con il moniker Sun Kil Moon. Complice enorme, naturalmente, il consenso internazionale che ha incoronato Benji tra gli album migliori della passata stagione, c’è chi dice di un’intera decade. Complice secondario, quantomeno in Italia, il cammeo – con annessa presenza in colonna sonora – che Paolo Sorrentino ha voluto ritagliare al cantautore born in Ohio nella sua ultima fatica cinematografica, “Youth”. Con queste premesse, più un buonissimo condimento di gossip cuciti a puntino per ridurre un genio a un’immaginetta, si è giunti alla repentina pubblicazione di Universal Themes, rilasciato pochi giorni fa, che segna un passo decisamente più energico rispetto al predecessore. L’impianto live, com’è giusto che sia, ne risente.
Kozelek presenta la formazione con un set di due batterie e tre chitarre elettriche, più un tamburo saltuariamente percosso dallo stesso. Ospiti della serata (e di alcune altre date del tour): Steve Shelley e Neil Halstead. Non proprio due emeriti signori nessuno. Little Rascals, brano d’apertura, mette immediatamente l’anima in pace a chi in cuor suo confidava in una serata raccolta, a lume di candela. Forget about it. L’idea di massima è quella di alternare brani già in nuce più duri, per l’occasione vestiti di puro hard rock, alle solite splendide, chilometriche ballads, rivedute e corrette negli arrangiamenti per meglio uniformarsi al mood scelto. Così ai desideri difformi della bellissima Mariette si alternano le memorie d’infanzia su pellicola in Hey You Bastards I’m Still Here; alle tragedie domestiche (Micheline) quelle nazionali (Richard Ramirez Died Of Natural Causes); alla dichiarazione d’amore “privata” (I Can’t Live Without My Mother’s Love) il racconto-fiume “pubblico” (This Is My First Day And I’m An Indian And I Work In A Gas Station). Privato/pubblico, pubblico/privato. C’è tutto il nuovo corso di Sun Kil Moon in questo binomio che raramente, nella storia del cantautorato, ha condotto a una scrittura così spuria, cronachistica, parlata.
Mark non si siede mai: acchiappa il microfono e passeggia da un lato all’altro del palco, giocando con la voce in maniera alle volte volutamente sgraziata. L’impressione, a tratti, è di assistere ad una performance di poesia, istituzione quasi incomprensibile dalle nostre parti, dove al massimo si alza e abbassa la testa su un leggio. Ogni tanto appare persino lo spettro di Gil Scott-Heron. C’è pure tempo per l’ormai classico siparietto col musicista di turno (stavolta è toccato a Steve Shelley), ripreso più volte per un errato attacco e minacciato scherzosamente. Tutto previsto, insomma; o quasi. Nonostante la potenza di newcomers come The Possum o Ali/Spinks 2 diverta, si paga irrimediabilmente dazio di fronte a perle come Carissa (pur intaccata da un arrangiamento peggiorativo) o I Watch The Film The Song Remains The Same, veri momenti clou dell’appuntamento assieme alle due gemme che fanno da encore: Ceiling Gazing e Caroline.
Ci sono un Kozelek spirituale e un Kozelek sciamanico che ogni fan di lunga data conosce. Un Kozelek crepuscolare ed un Kozelek persino triviale. Un Kozelek incapace di «scuotere la malinconia» ed un Kozelek quasi esilarante che solo la tipica, noncurante, scarsissima immaginazione giornalistica può disunire. C’è un unico Kozelek, che scrive canzoni da oltre vent’anni, che – come canta splendidamente in “Elaine” – ha dato via la sua collezione di dischi per concentrarsi sui suoi. Questo hype scemerà e ci sarà chi avrà l’uno, il nessuno o i centomila. A ciascuno il suo, per rimanere in Sicilia. Noi ce li godiamo comunque tutti.
SETLIST: Little Rascals – Mariette – Hey You Bastards I’m Still Here – Micheline – Richard Ramirez Died Today Of Natural Causes – Carissa – The Possum – Ali/Spinks 2 – I Watched The Film The Song Remains The Same – Dogs – I Can’t Live Without My Mother’s Love – This Is My First Day And I’m Indian And I Work In A Gas Station —encore— Ceiling Gazing – Caroline