Più tardi, a luci ormai spente, avrei domandato a Giulio Frausin come potessero pacificamente convivere le sue due, diversissime anime. Quella reggae, che da quasi dieci anni raccoglie consensi sempre maggiori assieme ai Mellow Mood. E questa solitaria, dedita ai grandi maestri del cantautorato anglosassone, sotto il moniker The Sleeping Tree. «Il reggae è stato una scelta», mi ha confidato sicuro; «mentre col songwriting sono cresciuto. Si può dire che l’uno sia come una moglie per me, l’altro come una madre». Suocera e nuora che, a conti fatti, vanno d’amore e d’accordo contro ogni iniziale pronostico.
Di passaggio in Sicilia per un solo, intensissimo appuntamento, il friulano classe 1986 incanta una platea magari non brulicante, ma senza alcun dubbio attenta per un’ora di pregiate, fluviali confessioni all’interno della lodevole rassegna “Dayoff”. Si comincia con Love Is An Eternal Lie e Heart As A Ghost, rispettivamente i brani forse più noti da “Leaves And Roots” e “Painless”, unici due LP finora pubblicati dal Nostro. E si va avanti destreggiandosi fra gli stessi, pizzicando ogni tanto l’EP “Stories” tra anacronistici timori icarèi e nuovi capitoli della vita (Wings, My Friend’s Son), insopportabili atteggiamenti altrui e viaggi da replicare (Little Too Often, Sweets Of Helsinki), conti che restano in tasca alla fine d’un amore e orrendi lutti da elaborare (A Bill, His Father).
Solo un talento necessariamente, delicatamente cristallino potrebbe passare indenne al contatto con il meraviglioso Elliott Smith di Going Nowhere. E solo un talento necessariamente, delicatamente cristallino potrebbe chiamare alla mente paragoni certo distanti, ma pur legittimi e del tutto assennati (Damien Rice, The Tallest Man On Earth, Glen Hansard, Jose Gonzalez).
Mentre le note di Place To Be sigillano brillantemente l’ultimo tributo della serata, sorge il sospetto più che plausibile che The Sleeping Tree sia il vero pezzo da novanta nel roster cantautorale de La Tempesta. Che certe seborreiche costellazioni, sotto sotto, non le capisca proprio nessuno. Che lo stile raramente si distingue per quantità, ma anche e soprattutto per qualità. Che a studiare il cielo, insomma, dopo un po’ ci si stanca; e viene voglia di assopirsi tranquilli all’ombra di una quercia che lì c’è sempre stata – e sempre ci sarà. Se questo è il modo in cui Jah fa da guida: non azzardatevi a disturbare il conducente.
SETLIST: Love Is An Eternal Lie – Heart As A Ghost – Wings + My Friend’s Son – Little Too Often – Going Nowhere (Elliott Smith cover) – Sweets Of Helsinki – A Bill – Jah Takes My Soul – His Father – Worlds Collide – Jah Guide —encore— Place To Be (Nick Drake cover)