Sono passati quindici minuti circa dall’inizio dello show quando, per la prima (e unica) volta, il flusso incontenibile di musica e immagini che avvolge il pubblico di questo gremitissimo Mediolanum (sì, è Suo anche questo) Forum di Assago, d’un tratto si arresta. Roger Waters imbraccia una chitarra acustica nera lucente, scavalca i mattoni di cartone che i roadies hanno già cominciato a posizionare e si avvicina al microfono, illuminato dall’occhio di bue, a pochi passi dalle transenne. Dopo aver salutato il caldissimo pubblico in un italiano piuttosto stentato (ma a differenza di molti colleghi, possiamo dirlo, c’ha provato), introduce il pezzo successivo, Mother, per il quale, dice, tenterà un esperimento di doppiaggio. Doppierà se stesso. E all’improvviso eccoli là, i due Roger: uno è un signore ormai avanti con gli anni (siamo a quota 68, portati benissimo), con capelli e barbetta bianchi, che sta cantando, accompagnandosi solo con la chitarra, in piedi di fronte a noi, sul grandioso palco allestito per questo “The Wall Live”. Anche l’altro Roger sta cantando e suonando la chitarra, però lui è un ragazzo, ha 37 anni, e la sua immagine in bianco e nero è proiettata sul megaschermo circolare che dagli anni ‘60 ha accompagnato ogni tournée dei Pink Floyd. Si tratta di un raro filmato datato 1980, girato durante un concerto all’Earls Court di Londra, che documenta il primo “The Wall Tour”, nonché una delle ultime esibizioni in assoluto di tutti e quattro i Floyd insieme. E mentre passato e presente ti scorrono davanti cantando all’unisono, ti rendi conto di quanto tempo sia trascorso da quel lontano 1979, quando nei negozi di dischi di tutto il mondo uscì “The Wall”, il doppio LP più venduto della storia, l’ultima grande rock-opera, il testamento musicale degli anni Settanta, in un momento in cui il punk da un lato e la discomusic dall’altro avevano già seppellito tutte le grandi rock band. Roger Waters, lo sappiamo, è un tipo puntiglioso e infatti per questo tour 2011 ci ripropone il disco tale e quale a come i Floyd lo registrarono nel ’79, senza cambiare una virgola, un accento, un arrangiamento (concede al massimo un mezzo assolo in più ai tre chitarristi durante Another Brick In The Wall, toh). E, purtroppo per il pubblico, senza concedere bis. “Non avrebbe senso” ha ripetuto all’infinito Waters ai giornalisti che l’hanno interpellato al proposito. E ha ragione, bisogna ammetterlo. Perché “The Wall” non è solo una raccolta di belle canzoni, ma una storia, in buona parte la sua storia (tant’è che nel 1982 Alan Parker ne trasse un film tutt’ora considerato un cult).
Più che di un concerto, quindi, possiamo a ragione parlare di una vera e propria messa in scena, che farebbe impallidire al confronto qualunque allestimento operistico. Basti dire che nel corso del primo tempo il pubblico ha assistito alla costruzione di un muro di cartone alto 15 metri e largo abbastanza da coprire interamente il lato corto del palazzetto, e che poi per quasi tutto il secondo tempo ha impedito agli spettatori la vista dei musicisti. Il muro, infatti, altro non è che il simbolo dell’alienazione che prova il protagonista della storia, la rockstar Pink, nei confronti del mondo esterno, e in particolare dei suoi spettatori. Trattandosi di uno show veramente multimediale, era molto complicato per lo spettatore mantenere una visione d’insieme di tutto quello che gli accadeva davanti. Ogni canzone era accompagnata dalle immagini ad altissima definizione che venivano proiettate sul megaschermo e sul muro. Alcuni dei video erano dei must presenti fin dal tour del 1980, come ad esempio la celeberrima animazione dei fiori durante Empty Spaces; altri erano nuovi di zecca, come quello contro i simboli di tutte le ideologie per Goodbye Blue Sky (da segnalare in particolare l’apparizione della scritta in un italianissima “col cazzo” quando Waters in “Mother” canta “Mother should I trust the government?”).
Come se non bastasse, di tanto in tanto giganteschi pupazzi gonfiabili (disegnati dal vignettista satirico Gerald Scarfe) si ergevano mostruosi sul palcoscenico, ognuno raffigurante uno dei fantasmi che tormentano il protagonista durante la storia, costringendolo a costruire il suo muro: il maestro che vuole “controllare il pensiero” dei suoi alunni durante Another Brick In The Wall, Part 2, la madre iperprotettiva durante “Mother” che ha le braccia a forma di muro, la perfida moglie/mantide per Don’t Leave Me Now. Il secondo tempo, invece, ci ha riservato una parata in stile fascista con tanto di bandiere e uniformi coi martelli incrociati e un pallone aerostatico nero a forma di maiale che si è librato sulle teste degli spettatori increduli. Che altro? Ovviamente la musica: ben 11 musicisti di altissimo livello hanno aiutato Waters a ricreare le atmosfere decisamente cupe e angoscianti del suo capolavoro, anche se, va detto, si sentiva molto forte l’assenza di David Gilmour alla chitarra e alla voce (nonostante il corista che cantava le sue parti lo imitasse quasi perfettamente). Di sicuro una bella fetta di pubblico (tra cui io) avrebbe dato il braccio sinistro per vedere lo storico chitarrista dei Pink Floyd apparire in cima al muro durante l’assolo di Comfortably Numb… ma questo, a quanto si dice, sarà un privilegio che toccherà solo ai fortunati spettatori delle date londinesi di questo lunghissimo “The Wall Live”.
“So ya thought ya might like to go to the show?” canta Waters all’inizio di In the flesh?, il brano che apre “The Wall”. Beh, caro Roger, la risposta è sì.
SETLIST: In The Flesh – The Thin Ice – Another Brick In The Wall, Part 1 – The Happiest Days Of Our Lives – Another Brick In The Wall, Part 2 – Mother – Goodbye Blue Sky – Empty Spaces – What Shall We Do Now – Young Lust – One Of My Turns – Don’t Leave Me Now – Another Brick In The Wall, Part 3 – A Few More Bricks – Goodbye Cruel World – Hey You – Is There Anybody Out There? – Nobody Home – Vera – Bring The Boys Back Home – Comfortably Numb – The Show Must Go On – In The Flesh – Run Like Hell – Waiting For The Worms – Stop – The Trial – Outside the Wall
A cura di Emanuele Mochi