Da cosa si nota che un festival sta andando nella giusta direzione? Dalla sua crescita qualitativa anno dopo anno, dall’importanza culturale ed economica che comincia a rivestire per la città che lo ospita, dalla volontà di avere un’identità, o almeno tentare di averla. Anche se il viaggio verso un paragone con le eccellenze europee sembra ancora lungo, è innegabile che l’edizione appena conclusa del TOdays Festival si sia riuscita a muovere verso questi intenti: la line updi quest’anno, variegata e solida, è stata complessivamente la migliore delle quattro finora stilate, e la calorosa risposta del pubblico mostra che questo periodo nero per la musica dal vivo torinese non è dovuto alla mancanza di voglia di stare tutti insieme davanti ad un palco. I tre giorni nella periferica Barriera di Milano hanno regalato momenti di eccellenza musicale, di divertimento ma anche di riflessione su cosa comporta organizzare una rassegna come TOdays nel 2018, un’epoca post-attentati, post-Piazza San Carlo e post trap. Già che si sta costruendo qualcosa di grande in un campo di nulla, tanto vale ragionare su come questo evento possa essere sempre migliore e sempre più di riferimento nel campo minato del rock alternativo, come i cugini sabaudi Kappa FuturFestival e Club To Club lo sono per altri mondi sonori. Ragionare su identità, innovazione e crescita.
L’IDENTITÀ
Sembra che la tendenza generale in Europa sia quella di creare festival simili all’interfaccia di Spotify, chiamando i vari nomi disponibili a caso senza creare tra essi un filo logico, che sia esso il genere musicale, l’appartenenza politica o semplicemente la qualità, a discapito del legame d’intesa che si dovrebbecreare col pubblico, magari selezionato ma fedele. Il TOdays invece, fin dalla prima edizione del 2015, s’è poggiato sulle solide basi di quello che fu un tempo il Traffic Festival e soprattutto sul lavoro che il direttore artistico Gianluca Gozzi compie quotidianamente costruendo la programmazione dello sPAZIO211, una delle ultime roccaforti di musica live rimaste in piedi a Torino. Questo ha fatto sì che il festival un’identità propria ce l’abbia eccome, e la stia confermando a gran voce col passare degli anni: il TOdays è un festival per vecchi, di quelli che passano il sabato sera al Blah Blah di Via Po tra birre artigianali a parlare di quanto sia buona l’IPA o quando costino alcune ristampe di vinili. Non (solo) anagraficamente parlando, tantomeno detto come insulto, ma “vecchi” è da intendere come metafora per coloro che, mossi da uno spirito antico e da un certo vissuto sempre più raro, ritengono ancora importante vedere dal vivo un gruppo come gli Echo & The Bunnymen, perché magari nostalgici della loro gioventù dark o perché hanno sentito The Killing Moon nella colonna sonora di Misfits. Può avere 20 come 50 anni, il vecchio che reputa i The War On Drugs e i King Gizzard & The Lizard Wizard due dei progetti migliori degli ultimi anni nel campo del rock con le chitarre, nonostante siano tra le realtà più derivative e paragonabili col passato in assoluto. Ma i vecchi, oltre ad avere la possibilità e la voglia di spendere soldi in concerti, tendenzialmente ci vedono lungo, perché tutti e tre i gruppi elencati hanno fatto degli ottimi concerti, a base di citazioni di Doors e Lou Reed (Nothing Last Forever che si unisce a “Walk On The Wild Side”) per gli Echo & The Bunnymen, ancora in ottima forma, divertimento nerd/psichedelico/sabbathiano di Stu Mackenzie ed i suoi King Gizzard, e gli assoli strappalacrime di Adam Granduciel dei The War On Drugs durante Red Eyes, come negli altri pezzi incredibili dei suoi dischi, tra Bob Dylan e lo shoegaze.
L’INNOVAZIONE
La spinta in avanti arrivata quest’anno però è da cercare altrove, ovvero negli eventi “off”, lontani dal main stage dello sPAZIO211, sotto il tetto dell’ex fabbrica Incet, al Parco Peccei e nelle altre venue di Via Cigna. Quest’anno il potenziamento della parte notturna del TOdays, promossa dal Varvara Festival, ha regalato delle chicche elettroniche di primo piano che hanno impreziosito il cartellone, senza allontanarlo dalla chiara identità di cui sopra: abbiamo potuto assistere all’esclusiva nazionale dei Mount Kimbie con un oscuro set in stile gruppo post punk (valido ma purtroppo non efficace all’ascolto quanto l’album “Love What Surive”, visto che mancavano le voci di King Krule e James Blake), un’altra tappa ultra-divertente di Cosmotronic, in poche parole del tour più rilevante che c’è stato quest’anno in Italia, e poi ancora le mine techno di Lena Willikens, Red Axes e gli Acid Arab (forse il dj set più straniante e contemporaneamente ballabile dell’anno). Menzione d’onore anche alle conferenze pomeridiane nella Galleria d’Arte (la chiacchierata degli Uochi Toki sulla realtà virtuale sarebbe da replicare nelle scuole e nelle università) e al block party pomeridiano di Myss Keta: in mesi e mesi d’isolamento e trascuratezza, Barriera di Milano si meritava una festa gratuita così, in quella bellezza industriale che è il Parco Peccei, e ciò si è visto dalle centinaia di persone che si sono radunate sotto il sole delle cinque di pomeriggio. Eventi collaterali che fanno la differenza.
LA CRESCITA
Che il TOdays sia una solida realtà, come direbbe Roberto Carlino, lo si può evincere già solo dal fatto che il clamoroso pacco dei My Bloody Valentine, il nome più atteso dell’intera edizione, in pochi giorni abbia portato alla sostituzione con i Mogwai, non proprio gli ultimi della classe, protagonisti di un set devastante a cui ci hanno abituato negli anni. Se, alla luce di fatti simili e di tutto ciò che s’è detto fin all’inizio, il TOdays può, perché non potere ancora di più in futuro? Per esempio: come siamo passati da avere come primo nome dell’edizione 2017 PJ Harvey a non avere neanche un headliner donna nella line-up? Per vedere qualcosa di femminile nel cartellone bisogna arrivare fino a Maria Antonietta e Myss Keta, due delle artiste estratte dal calderone indie italiano, genere che ha sempre fatto da “contorno” nelle ore pomeridiane agli artisti internazionali, quest’anno tutti maschili e pelosi, e Ariel Pink non ha manco più i capelli rosa. Se si vuole puntare a standard internazionali, bisogna prevenire ed entrare anche nel merito delle tematiche che stanno affrontando i festival in giro per l’Europa proprio in questo periodo, senza aspettare di diventare grandi. Secondo: di cosa si parla quando si parla di sold out? Per quel che si è visto, con l’Incet (ed anche un po’ lo sPAZIO211, non serve un perito per accorgersene) sempre mezzo vuoto, di una conseguenza delle ristrettive e pressanti norme di sicurezza che stanno soffocando – in primis – Torino in questi ultimi anni, più che di una cosa di cui vantarsi sui social network come traguardo raggiunto dall’organizzazione. La speranza è che, con quelle Francesca Paola Leon e Chiara Appendino che hanno sottoscritto il bel discorso inaugurale nel volantino dell’evento e chi verrà dopo di loro, si inizi un dialogo per affrontare un tema che DEVE andare ben oltre il vanto (legittimo, con la fatica che comporta creare un evento simile) e tenda a concordare delle soluzioni per includere, anziché escludere, più pubblico possibile. La musica deve tornare ad essere veramente goduta da tutti, come recita uno dei claim dell’evento; i post gloriosi sul tutto esaurito lasciamoli a chi non ha niente da dire musicalmente. Il TOdays può iniziare un circolo virtuoso, dalla musica fino agli standard qualitativi per l’Italia, ce lo meritiamo come città e come ascoltatori.