Pezzi di storia del rock ne passano davvero col contagocce da queste parti. E così, quando si viene a sapere che ai Mercati Generali di Catania sarà di scena Tom Verlaine, si contano i giorni e man mano che ci si avvicina all’evento le ore. Quando, poi, le luci finalmente si spengono e le sei corde prendono magicamente vita, il tempo si ferma ed il silenzio diviene a tratti spettrale, crepuscolare come i canti del buon Tom ai tempi dei suoi Television. In Italia per un lungo tour di ben undici tappe (Catania è la penultima di queste), Verlaine si accompagna – come ormai consuetudine – all’amico chitarrista-produttore Jimmy Rip per portare in giro la sua ultima fatica in studio, “Songs And Other Things” del 2006, ennesimo capitolo di una brillante carriera da solista cominciata già all’indomani dello scioglimento della band. La platea, rigorosamente a sedere come si conviene in simili circostanze, si trova di fronte un palco scarno come in poche altre occasioni, giusto due sedie e le chitarre di Rip e Verlaine a dare quel tocco di colore che si scorge a mala pena fra le rarefatte luci indirizzate on stage. Alle 22.45, quasi senza far rumore, ecco spuntare prima Rip, che si concede minimamente alle attenzioni del pubblico alzando la mano in segno di intesa, e poi lui, Verlaine, aspetto ordinario e dimesso, pochi fronzoli e nessun gesto che tradisca particolare partecipazione. Nel suo stile. I pezzi si susseguono senza soluzione di continuità, annacquati, dilatati e slabbrati dall’incedere ritmico dello strumento di Rip, mentre Tom lavora di cesello inanellando uno dietro l’altro riff ed arpeggi di quelli che l’hanno reso famoso. Passano gli anni, sono già cinquantanove per lui, ma la classe rimane sempre cristallina. E così, fra un pezzo e l’altro, sono applausi scroscianti per “The Earth Is In The Sky”, estratta dall’album del 2006, e neanche a dirlo per le gemme a nome Television che Verlaine decide di regalare al centinaio di persone accorse per vederlo esibirsi: “Prove It” (dal capolavoro del ’78 “Marquee Moon”) e l’inaspettata “Little Johnny Jewel” (primo singolo datato addirittura 1975), rendono così alla perfezione l’evoluzione dell’artista. Il confronto coi nuovi pezzi risulta sinceramente impari, ma nonostante ciò la setlist appare comunque uniforme, a testimoniare il lungo filo conduttore che percorre l’intera carriera di Verlaine. Ovvero la sua chitarra, ovvero quel sussurrare frasi taglienti, caratteristiche che lo hanno fatto emergere fra i massimi rappresentanti della New York underground. Quando anche l’encore ha tirato il fiato, in una manciata di secondi le due sedie a centro palco rimangono nuovamente libere, testimoni fugaci della leggenda che silenziosa come era arrivata così va via.
Curiosità: Pochi minuti prima dell’inizio del concerto, è stato annunciato l’assoluto divieto di effettuare fotografie. Fin qui nulla di strano, se non fosse che il pubblico, una volta tanto, ha deciso all’unanimità di rispettare le “consegne”. Anche questo è un segno di enorme rispetto per l’artista in questione.
A cura di Emanuele Brunetto