Non ci voleva certo un veggente per rendersi conto che la giornata inaugurale dell’edizione 2019 del Firenze Rocks sarebbe stato l’Evento, con la E maiuscola, dell’annata concertistica italiana. Una line-up varia e corposa, sì, ma soprattutto il ritorno in Italia, a oltre un decennio di distanza dall’ultima volta, dei Tool. Il nuovo album è in dirittura d’arrivo, sarà lo spasmodicamente atteso seguito di “10,000 Days” del 2006 e salvo sorprese e/o ulteriori rinvii – con loro c’è sempre da tenerne conto – vedrà la luce il 30 Agosto, quindi il momento giusto per Maynard James Keenan e i suoi di ripresentarsi in Europa dopo la serie di live sparsi negli anni negli Stati Uniti.
Line-up di sostanza, si diceva: dopo Fiend, Badflower (che si fanno valere) e Skindred, che riscaldano un ambiente già ampiamente infuocato dalle temperature raggiunte alla Visarno Arena, tocca ai Dream Theater (che moltissimi sui social, per certi versi anche a ragione, hanno invocato come headliner piuttosto che come act delle ore 17.30) sciorinare il loro repertorio. A dirla tutta la performance della band di John Petrucci non risulta esaltante, complice qualche sensibile problema tecnico (che a livelli come i loro e per un genere come il loro fanno tutta la differenza del mondo) e qualche svarione vocale di James LaBrie, non proprio al top del proprio rendimento.
Se agli Smashing Pumpkins è toccato il ruolo di co-headliner (ma fondamentalmente si esibiscono alle 19.30 con il sole ancora ben alto in cielo) è solo perché qui si sono ritrovati i Tool a rubargli la scena. Billy Corgan, James Iha e Jimmy Chamberlin hanno fatto congiuntamente rientro in grande stile nel rock che conta, con un disco di buona fattura (“Shiny And Oh So Bright, Vol. 1 / LP: No Past. No Future. No Sun.”, uscito lo scorso anno) e soprattutto con una serie di prestazioni live sorprendentemente lucide e ispirate. E sono proprio il ricordo fresco e le narrazioni fattene sul web del loro concerto bolognese dello scorso Ottobre ad aver attirato larga fetta dei presenti, forse persino più degli stessi Tool. A Firenze il set non è per ovvie ragioni oceanico come quello di Bologna (lì s’erano superate le tre ore, qui si va sugli standard novanta minuti da festival), ma la conferma che i Pumpkins sono in forma la otteniamo nuovamente, specie un Corgan che non canna praticamente neanche un pezzo, aggressivo sul microfono e sulla sua chitarra come ai bei tempi. La setlist scelta dalla band manca di una marea di pezzi di storia degli anni ’90 (“Tonight, Tonight”, giusto per citare la più eclatante e per il disappunto di tantissimi presenti), ma dà l’occasione per qualche interessante variazione sul tema come Tiberius e Superchrist (rispettivamente da “Monuments To An Elegy” del 2014 e outtake di “Zeitgeist” del 2007, quindi entrambi brani dei Pumpkins pre rientro di Iha), oppure The Aeroplane Flies High (Turns Left, Looks Right) che chiude il set senza encore.
Dall’uscita di scena degli Smashing Pumpkins in poi, il palco del Firenze Rocks piomba nel silenzio. Niente di niente per intrattenere gli oltre quarantamila in attesa della venuta del Messia Keenan. Un po’ la sintesi del modo in cui i Tool hanno sempre (non) interagito con il proprio seguito: silenzio, un assordante silenzio che, invece che allontanare, negli anni ha fatto crescere esponenzialmente l’attesa e l’aura di mito attorno alla formazione californiana. Con qualche minuto d’anticipo sull’orario previsto (che era le 21.45) si accendono le luci, la stella a sette punte in fondo al palco inizia a illuminarsi e i quattro si palesano con Ænema. La botta è difficile da assorbire, perché la potenza con cui i Tool schiaffeggiano la platea non ammette alcuna replica. Le corde del basso di Justin Chancellor sono evidentemente fatte di granito piuttosto che di materiali convenzionali, visto che le sue sono bordate che minuto dopo minuto t’annichiliscono la cassa toracica, coadiuvato nell’intento dall’esplosivo drum set di Danny Carey. Sta tutto qui il cuore pulsante dei Tool in brani come The Pot e Schism. Ma il cervello, quello è tutto appannaggio di Adam Jones: il chitarrista è alternativamente una katana, una sega circolare e un pugnale, tessendo trame dall’imbarazzante precisione anche quando risulta complicato seguirne le evoluzioni.
Incredibilmente – dati i video reperibili in rete, che lo vedono perennemente oscurato e in fondo allo stage – Maynard James Keenan è ben più visibile del solito, spesso persino investito da fasci di luce che ne delineano la sfuggente figura. Se i Tool hanno fatto del mistero la loro cifra artistica lo devono fondamentalmente a lui e alle sue lyrics che, accompagnate dai visual proiettati sugli schermi, creano il consueto effetto disturbante che gli appartiene. Anche la sua è una prova stratosferica, che trova sublimazione definitiva nel finale con Vicarious e Stinkfist, annichilente chiusura del live. Noi ve l’avevamo detto – non scoprendo affatto l’acqua calda – che questa sarebbe stata un’esperienza da non perdere per niente al mondo: se non c’eravate, possiamo solo augurarvi di non pentirvene se dovessero volerci altri dodici anni affinché si ripeta.
SETLIST SMASHING PUMPKINS: Siva – Zero – Solara – Knights Of Malta – Eye – Bullet With Butterfly Wings – Tiberius – G.L.O.W. – Disarm – Superchrist – The Everlasting Gaze – Ava Adore – 1979 – Cherub Rock – To Sheila – Wish You Were Here (Pink Floyd cover) – The Aeroplane Flies High (Turns Left, Looks Right)
SETLIST TOOL: Ænema – The Pot – Parabola – Descending – Schism – Invincible – Sweat – Jambi – Forty Six & 2 – Vicarious – Stinkfist