Insomma, è iniziato tutto in modo rocambolesco ed è finito in maniera sulfurea, potrebbe essere questo un buon incipit per questo report, ma non è vero che è finita in modo sulfureo. È finita in modo totalmente normale. Finisce il set e torno a casa. Ma non è vero nemmeno questo. Semmai è iniziato tutto in maniera sulfurea. Si ecco, può andare bene così, per dirla tutta il magnifico regionale delle 16:38 che doveva portarmi a Roma, fantastico ma soprattutto famigerato regionale, non si è presentato. È stato cancellato. Ed allora via con un bus sostitutivo che mi porta a Villa Literno in un’ora circa, lì aspetto il treno che viene da Roma e torno a Roma, certamente. Se solo ci fosse il treno, che fortunatamente però dopo 15 minuti circa di andirivieni, di domande a improbabili capotreni e persone qualunque, arriva.
Giunto in quel di Roma alle 20.40 circa, prendo la metro che mi porterà nel quartiere che devo raggiungere per incontrare l’host che mi ospita per la notte. Arrivo a destinazione, conosco il gentilissimo e affabilissimo Franco e la sua cagnetta Lucky e saliamo a casa; mangio un panino (beh, era più di un semplice “panino”) e nel mentre indosso un maglione e vedo uno sketch di Totò e Peppino (quello della famigerata “lettera”), mentre continuo a mangiare. Finalmente alle 22:04, minuto più minuto meno, scendo di casa, ovviamente con le chiavi della stessa che Franco mi ha dato per tornare lì nel cuore della notte. Ovviamente una responsabilità, ma si sa che qualcuno se le deve prendere, se non io chi? Tralasciando questa bazzecola della responsabilità, dicevamo: scendo di casa e vado a prendere la metro che mi porta a Trevi Station, salgo in strada e dopo qualche secondo di panico generale (alla domanda “Via Forno Vecchio?” rivolta a due tassisti i due rimangono sconcertati e disorientati) riesco ad imboccare la via giusta per arrivare al Teatro Quirinetta o ex Cinema Nuovo (come è scritto fuori o, addirittura, Cinema d’Essai dell’Istituto Luce, come dopo apprendo da internet).
Sono le 23.00 circa. Dopo 5 minuti di fila (che poi scoprirò essere la prima della serata) pago il ticket e riesco finalmente ad entrare all’interno del Teatro. La scena che mi si prospetta è rilassata e finalmente lo sono anch’io. Ci sono solo poche persone ancora, ma c’è già movimento sul palco. La sala è ad anfiteatro, ovale nella parte posteriore, ha il pavimento in legno (dettaglio importante), di quello scuro (wengé), anteriormente il palco, ai lati vi sono due palchetti adibiti a bar. Mi posiziono sul lato destro, ma leggermente spostato verso il centro.
C’è suono, non musica. Molti presenti iniziano a sedersi ed io appoggio quasi subito l’idea e mi metto comodo per meglio godere dello spettacolo in toto. Un suono, dicevo, colorato da fari color rosso rosato (se esiste), che partono dal palco e dai neon dello stesso colore che si trovano nei bar, che rendono l’atmosfera calda e intrigante. Si esibisce Rawmance, artista parigino trapiantato in Italia. Il suo set è quasi da atmosfera ottocentesca, avvolgenti sonorità melodiche si muovono con fare da canzonette come trasmessi da grammofoni dorati anziché da rettangoli oscuri e ingenti. C’è gentilezza del suono e un fare sportivo nell’inserire il disco e spremere la puntina sul giradischi. Una quarantina di minuti totali.
Sono le 00:05. Intanto la stanza si è riempita. Finalmente esce dalle quinte Sasu Ripatti, in arte Vladislav Delay, e l’atmosfera si fa eccitante e pungente. Cambia il colore dei fari del palco che diventano bianco ghiaccio e s’intrecciano formando una A in una M. Dopo capirò che il suo live è suddiviso in tre movimenti. 1. 2.2\3. 3.4\5. Il primo è occupato interamente da Visaton, che inizia con un tappeto sonoro da ambient ma con sintetizzatori new age. Al passaggio dei movimenti è dato inoltre il cambiare delle forme che assumono le luci. Sussegguono Viaton, Viisari e Vihollinen/Viimeinen.
Sasu accende una sigaretta, cosa che noi comuni mortali non possiamo nemmeno immaginare di fare. Saltella freneticamente a ritmo di pistone, rallenta nei tessuti sonori più liquidi ma non si ferma mai. La durata dei movimenti è pressoché indecifrabile, in quanto Lui si diverte a cambiare quelli che per noi comuni mortali ascoltatori sono puntini nel quantum sonoro: degli “scherzetti”, alza pitch e volume, come lo abbassa ogni tanto, stoppa e frammenta lastre (di suono) che rendono il teatro a volte pieno a volte vuoto (come quando l’unica cosa che si sente è il chiacchiericcio onnipresente del bar).
Il tutto dura un’ora e una dozzina di minuti. Concluso il set saluta e se ne va dritto in camerino, con il pubblico che lancia pochi applausi ma ai quali resta tanta meraviglia e benessere, percepita dal sottoscritto nei volti dei presenti. La serata continua, ma io decido di tornare all’ovile. Giretto per il centro, ultima metro dell’1.40 presa a volo e dopo aver sbagliato strada e allungato di un buon chilometro il mio percorso, alle 2.40 sono nel letto. Come dicevo, tutto molto normale.